(2004) XI Convegno annuale SIdM - Lecce

 

Lecce, Università degli Studi

22-24 ottobre 2004

Programma e abstract

venerdì 22 ottobre ore 9.30

  • I sessione, presiede Agostino Ziino
    • Francesco Rocco Rossi, Indagine sulle 'seconde versioni' del Ms Mod.D e su un possibile intervento revisionale di Johannes Martini. Abstract.
    • Carlo Fiore, Pater meus agricola est. Abstract.
    • Antonio Polignano, Aspetti del linguaggio dissonante negli ultimi madrigali di Luca Marenzio. Abstract.
    • Mariagrazia Carlone, Lorenzino e il 'Cavaliere del liuto'. Abstract.
    • Enrica Donisi, «Delle sere alcune sono destinate alla Musica, altre all'Eloquenza, e altre alla Poesia»: Domenico Benigni, le sue poesie, la musica e le Accademie degli Umoristi e dei Gelati nella Roma del Primo Seicento. Abstract.
    • Marco Lombardi, L'opera di G. B. Degli Antonii nel quadro della nascita della letteratura per violoncello solo: le Ricercate per violoncello ò cembalo op. 1 (Bologna, 1687) e le Ricercate per violino a due (MoE Ms. Mus. D.9). Abstract.
  • II sessione, presiede Paola Besutti
    • Giuseppe Pastore, L'oratorio Adamo e Eva di Tricarico (1663).
    • Marina Toffetti, Di nuovo sulla controversia attorno alla nomina di Carlo Donato Cossoni al posto di maestro di cappella del Duomo di Milano (1684–5): il retroscena diplomatico visto dalla parte degli spagnoli. Abstract.
    • Antonio Dell'Olio, Per una indagine sulle cappelle musicali in Puglia durante il secolo XVIII. Abstract.
    • Myriam Quaquero, Nicolò Oneto. Un maestro di cappella siciliano nell'Ottocento musicale in Sardegna. Abstract.
    • Carmela Bongiovanni, Società, istituzioni, accademie e musica a Genova e provincia nell'Ottocento. Abstract.
    • Andrea Cardone, Per servire alla storia dei Musei della Musica: la collezione del Museo Storico Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella nella seconda meta del secolo XIX. Abstract.
    • Antonio Caroccia, L''aurora' della musicologia italiana (1908-1942). Abstract.

 

venerdì 22 ottobre ore 15.00

  • III sessione, presiede Paologiovanni Maione
    • Jean-François Lattarico, Busenello drammaturgo. Primi appunti per una edizione critica dei melodrammi. Abstract.
    • Claudia Gabriella Fatato, L'identità culturale e politica de La Fida Ninfa di Maffei – Vivaldi. Abstract.
    • Roberto Scoccimarro, L'Arcifanfano re dei matti di Goldoni-Galuppi: una sconosciuta fonte musicale. Abstract.
    • Giuliano Castellani, L'Agnese di Paër tra Parma e Parigi: fonti, versioni. Abstract.
    • Giovanna Facilla, Robert Bruce, un pastiche nel silenzio rossiniano. Abstract.
    • Fabio Rapetta, La vocalità sopranile 'enciclopedica' nei melodrammi belliniani. Abstract.
    • Alessandro Loreto, La «mala pasqua» de La lupa di Pierantonio Tasca – Giovanni Verga: peripezie di un'opera nata sotto una cattiva stella. Abstract.
  • IV sessione, presiede Roberto Giuliani
    • Elsa Martinelli, Soli Deo honor et gloria. Organi, organari e organisti a Lecce nello spoglio del settimanale «L'Ordine». Abstract.
    • Flávio Carvalho, L'opera Abul del maestro brasiliano Alberto Nepomuceno: la sua accoglienza nel 1915 in Italia. Abstract.
    • Emanuela Ersilia Abbadessa, La canzone italiana nel Ventennio fascista tra 'mammismo' e 'superomismo'. Abstract.
    • Chiara Bocchi, Scelte registiche e riprese audiovisive: I Quattro Rusteghi di Wolf-Ferrari al Teatro Regio di Parma. Abstract.
    • Nicola Panteghini, Dimensioni audiovisive nell'universo sonoro di Alessandro Melchiorre. Abstract.
    • Mariaconcetta Lacorte, L'acustica: un bene culturale. Abstract.
    • Valentina Mirella Marangi, Musica e diritto d'autore nell'era di Internet. Abstract.

 

sabato 23 ottobre ore 9.30

  • V sessione, presiede Bianca Maria Antolini
    • Francesco Passadore, Una miscellanea di edizioni musicali del primo Seicento, dispersa ma non troppo. Epilogo di una cinquantennale latitanza. Abstract.
    • Gian Giacomo Stiffoni, Nuove notizie sulla attività nel teatro de Los Caños del Peral della compagnia d'opera italiana dei teatri dei Reales Sitos nel 1776. Abstract.
    • Kostantinos Kardamis, 'Nobile Teatro di San Giacomo di Corfù': an overview of its significance for the Greek 'Ottocento'. Abstract.
    • Paolo Mechelli, I fili della scena. Alessandro Lanari nel circuito teatrale di primo Ottocento: Il carteggio con impresari e delegati (1820-1830). Abstract.
    • Jutta Toelle, Un uragano improvviso se non del tutto inaspettato - il fallimento di Arturo Morini a Venezia e la posizione degli impresari lirici nel tardo Ottocento. Abstract.
    • Luca Sorge, Carlo Pozzi, editore musicale dell'Ottocento. Abstract.
  • VI sessione, presiede Giovanni Carli Ballola
    • Ursula Kirkendale, Il Re del Cielo e il Re di Francia: sulla storia di un topos musicale. Abstract.
    • Mariacarla De Giorgi, 'Traslitterazione' tonale e simbologia del linguaggio nel Finale della Nona Sinfonia. L'ultimo Beethoven regista di se stesso. Abstract.
    • Paulo M. Kühl, Rossini e i giornali a Rio de Janeiro negli anni 1820. Abstract.
    • Takashi Yamada, L'impresa del Teatro Nuovo di Napoli negli anni 1770-71: il caso della 'famosa' e mai documentata rappresentazione de Le Trame per amore di Paisiello. Abstract.
    • Anthony DelDonna, An Inquiry into the Usage of the Clarinet in the San Carlo Orchestra during the late-18th century. Abstract.
    • Luigi Sisto, Aspetti della musica strumentale da camera di Nicola D'Arienzo. Abstract.

 

sabato 23 ottobre ore 18.00

I libri della SidM: presentazione dei nuovi volumi a cura di Giancarlo Rostirolla (responsabile del settore Edizioni musicali) e Licia Sirch (responsabile del settore Collane di testi musicologici).

Presentazione del nuovo sito Web della Società Italiana di Musicologia.

 

domenica 24 ottobre ore 9.00

Assemblea annuale dei soci della SIdM

 

Comitato Convegni SIdM: Paologiovanni Maione (responsabile), Marco Capra, Francesca Seller, Agostino Ziino 


Abstract

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Emanuela Ersilia Abbadessa

La canzone italiana nel Ventennio fascista tra 'mammismo' e 'superomismo'

L'intervento proposto, attraverso una ricognizione analitica dei testi delle canzoni più celebri del Ventennio fascista, si propone di portare in luce alcuni elementi ricorrenti della retorica del periodo e significativi delle tendenze della società italiana tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento.
Al centro della disamina sarà il ruolo sociale del 'nuovo uomo' proposto dal regime e, in modo apparentemente contraddittorio, oscillante tra un forte legame con i valori intrinseci nei concetti di famiglia, di maternità e di fedeltà e quelli nuovi proposti da una retorica 'superomista' (considerata anche nelle convergenze e nelle divergenze col pensiero nietzeschiano e con i proclami futuristi) che dipinge una sorta di 'uomo ideale' forte e alieno da paure, scoraggiamenti e mollezze ma pur sempre legato all'idea di una 'stabilità' quotidiana che sarà quella alla quale mirerà, dopo non molto, la società italiana della ricostruzione dopo il 1945.
Il vasto repertorio di canzoni analizzabili, dalle più alle meno note (delle quali alcuni passi salienti sarebbero riproponibili, in sede di intervento, nelle loro versioni originali), sarà analizzato avvalendosi di una suddivisione in due grossi serbatoi: da una parte le canzoni prettamente 'd'azione' (Inno dei giovani fascisti, Duce Duce, Ala fascista, Giovinezza, Duce a noi, Canto degli arditi, Squadristi a noi!, Combattenti a noi!, ecc.) e, dall'altra, quelle con toni più 'intimisti' (La mamma del soldato, Caro papà, Addio mia piccola, Cara mamma, Mamma bisogna vincere, ecc.), con ovvi squarci aperti sul repertorio specifico del periodo della guerra in Etiopia (Adua, Faccetta nera, Africa nostra, Amba Alagi, In Africa si va, ecc. fino a quelle sui temi delle sanzioni e dell'autarchia come Le sanzioni d'Africa) in cui si fondono i temi della forza e della conquista, dell'orgoglio nazionale e nazionalista con quelli della nostalgia per la casa lontana e per gli affetti. Sul piano prettamente musicale si tenterà di disegnare brevemente una linea di continuità formale tra il prodotto fine Ottocento, quello del Ventennio e la successiva canzone di consumo italiana.


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Chiara Bocchi

Scelte registiche e riprese audiovisive: I Quattro Rusteghi di Wolf-Ferrari al Teatro Regio di Parma

L'approfondita analisi a più livelli qui proposta – condotta su un documento d'archivio realizzato dalla Fondazione Teatro Regio di Parma, una registrazione de I Quattro Rusteghi di Wolf-Ferrari rappresentati nel febbraio 1996 (disponibile su supporto VHS e recentemente riversata anche su DVD) – intende offrire un contributo allo studio del rapporto tra l'opera teatrale e il mezzo televisivo.
A differenza di altri teatri, quello parmigiano effettua sistematicamente a partire dai primi anni Ottanta registrazioni con tre telecamere di una recita di tutte le opere rappresentate.
Nonostante si tratti di documenti privi di finalità commerciale, la presenza di un regista televisivo o comunque di un professionista che elabora la successione delle varie inquadrature, prevede comunque una logica sottostante e una serie di scelte di base che meritano di essere analizzate.
Ogni considerazione sul documento è nata in seguito ad un'attenta analisi dello stesso, e solo dopo aver considerato le caratteristiche di ogni singola inquadratura, le quali sono confluite in una scheda di descrizione ordinata secondo una precisa successione di informazioni (time-code, numero di battuta, personaggi, descrizione di quello che accade sulla scena, coincidenza/non coincidenza, sincronismo/asincronismo, telecamere utilizzate e osservazioni sull'uso dello zoom, note).
Pur nella convinzione che nessuna descrizione sia più efficace del contatto diretto con l'oggetto della ricerca, in questo modo si è cercato tra l'altro di approntare uno strumento di lavoro che rendesse analizzabile il documento anche a chi non ha materialmente la possibilità di visionarlo presso il teatro.


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Carmela Bongiovanni

Società, istituzioni, accademie e musica a Genova e provincia nell'Ottocento

La ricerca sulla musica dal punto di vista delle 'istituzioni' che la promuovono e producono porta ad inediti scorci sul mondo musicale di primo Ottocento. In primo luogo, nonostante la frattura politica e sociale prodotta dalla parentesi napoleonica (il regime napoleonico - come già affermato da Quondam - non solo non asseconda le accademie, ma cerca di ridurle ad un solo istituto nazionale suddiviso in più sezioni territoriali), risulta di estremo interesse indagare le continuità e discontinuità nel xix secolo della prassi accademica superselettiva e scarsamente pubblicizzata del Settecento. In quale modo il mecenatismo settecentesco si trasferisca nel secolo successivo nell'attività delle numerose società musicali o culturali con interessi musicali, non sembra essere stato ancora oggetto di studio, nonostante i numerosi contributi sull'argomento apparsi negli ultimi dieci anni. Un altro fenomeno suscettibile di indagine risulta - con il progresso dell'Ottocento - la crescente estensione della base sociale di queste società culturali indirizzate completamente o parzialmente alla produzione musicale: ciò accade non tanto (o non solo) grazie ad una progressiva popolarizzazione dei sodalizi filarmonici, come a prima vista potrebbe apparire, quanto per un ampliamento della stessa classe borghese (non a caso Leydi parla di 'borghesie' al plurale).
Premettendo che lo studio dell'attività delle istituzioni culturali dedite alla musica di iniziativa privata nell'Ottocento non implica alcuna esclusione di repertorio (vale a dire, in esse si osserva la convivenza tra i diversi generi musicali, come dimostra la costante mescidanza tra vocale e strumentale negli innumerevoli concerti pubblicizzati dalla stampa locale), non tutte le stagioni concertistiche erano emanazione di una società appositamente costituitasi; esse potevano essere iniziativa di singoli, oppure di impresari gestori di sale, o ancora di ordini religiosi, come nel caso della sala dell'Oratorio di San Filippo Neri di Genova (i cui patrocinanti erano i membri di una delle più note famiglie aristocratiche della città, i Pallavicino appunto).
L'analisi delle società musicali (sia di quelle elitarie, aristocratiche, sia di quelle a base più ampia, come alcune società corali o ancora le filarmoniche promotrici di bande per tutta la Liguria), non esaurisce ovviamente il panorama della produzione di musica nell'Ottocento al di fuori dei teatri, delle chiese e delle dimore private.
Tutta la Liguria, soprattutto a partire dal secondo Ottocento, fu interessata dal sorgere di società filarmoniche o musicali in genere. Sembra che solo nelle grandi città alcuni di questi clubs avessero preso una connotazione elitaria; nei piccoli e piccolissimi centri essi si proponevano una diffusione della musica partendo dai bisogni delle comunità, come gli statuti superstiti di questi sodalizi dimostrano.


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Andrea Cardone

Per servire alla storia dei Musei della Musica: la collezione del Museo Storico Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella nella seconda metà del secolo XIX

Il lavoro ricostruisce le fasi di formazione del patrimonio musicale esposto nel Museo Storico Musicale del Conservatorio di San Pietro a Majella inaugurato nel 1926. Il ritrovato interesse per la tutela dei beni musicali di questo istituto ha focalizzato gli studi sulla collezione strumentale, supportata dalla ripresa di una serie di ricerche organologiche e alcuni interventi di recupero e valorizzazione al fine di ripristinare almeno in parte l'esposizione. Risultato di questa prima fase di lavoro è stata la mostra organizzata nel 2002 a Battipaglia con una esposizione di circa cinquanta strumenti musicali. Tutto ciò non ha permesso ancora oggi di usufruire in maniera completa di tutto il patrimonio, quadreria – cimeli storici – strumenti, ancora privo di una sede espositiva adeguata e di un allestimento 'filologico' che mirasse alla ricostruzione dei significati originari della collezione. La scarsa conoscenza della loro storia ha generato tentativi di allestimenti blandi e senza coscienza storica. Lo studio vuole essere sia un momento di comprensione delle dinamiche storico – culturali che diedero origine alle collezioni, in particolare la quadreria e la collezione strumentale, sia il riutilizzo di queste informazioni per concepire un adeguato allestimento per un museo che ancora non trova la sua identità.
Risultato del lavoro è la conoscenza del significato storico della quadreria, nucleo base del museo, iniziata nel 1868 (18 esemplari), donati dal bibliotecario Francesco Florimo, fino al 1888 (150 esemplari). Frutto di sistematiche committenze, il bibliotecario dà origine ad un vero e proprio programma culturale che mira a creare un sistema unico tra oggetti e luogo di esposizione, utilizzando specifiche fonti per la richiesta dei soggetti.
Il modello museale di Florimo, ripreso dal collezionismo settecentesco di Padre Martini a Bologna per la biblioteca del Convento di San Francesco, viene sostituito nella seconda metà del secolo xix quando gli strumenti musicali, acquistando una maggiore individualità, diventano sia il motore di nuove strutture museali sia gli oggetti più adatti a rappresentare l'arte musicale. A tal proposito Michele Ruta, musicista e studioso, propone nel 1877 un allestimento di un museo strumentale nel Conservatorio di Napoli. Scopo della nuova conservazione strumentale, nato dai nuovi studi organologici, era di risolvere alcune questioni annose tra le quali porre rimedio alla sfrenata dispersione e vendita di antichi strumenti sviluppando una nuova sensibilità di tutela.


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Mariagrazia Carlone

Lorenzino e il 'Cavaliere del liuto'

Obiettivo della mia ricerca (per una tesi di dottorato presso l'Università di Pavia) è l'edizione delle opere di uno dei più celebri ed apprezzati virtuosi e compositori per liuto vissuti alla fine del Cinquecento: 'Laurencinus Romanus', detto 'Lorenzino', la cui musica ci è stata trasmessa da 8 libri a stampa e 25 manoscritti prodotti in 8 differenti nazioni. Fino a tempi recenti, poco si sapeva di questo musicista. Poichè Jean Baptiste Besard nel 1603 (nel Thesaurus Harmonicus, una collezione di musiche per liuto dedicata a 'Laurencinus Romanus' e che include 46 suoi brani) scrive che Lorenzino era stato creato 'Eques Auratus' per le sue eccezionali doti musicali, si pensava che Lorenzino andasse identificato con il misterioso 'Cavaliere del liuto', attivo a Roma nello stesso periodo; in effetti, alcune composizioni sono attribuite a Lorenzino in certe fonti e al Cavaliere in altre. D'altra parte, alcune fonti, tra cui lo stesso Besard, elencano separatamente i brani dell'uno e dell'altro autore. Alcuni documenti, poi, parlano di un 'Lorenzino Bollognese', allievo di Fabrizio Dentice (il cui influsso stilistico si avverte nelle opere di Lorenzino 'Romano'): si trattava dello stesso liutista?
Un passo avanti era stato reso possibile da alcuni recenti contributi: Vera Vita Spagnuolo nel 1994 aveva scoperto documenti rivelanti il cognome di Lorenzino (Tracetti o Traiecti) e la sua data di morte (1590, mentre il Cavaliere era morto nel 1608), e Carlo Stringhi nel 1998 aveva individuato nei Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini (Venezia 1612) un passaggio in cui si rivelava che il nome del Cavaliere era Vincenzo Pinti, nome ignoto ai repertori ma ricorrente in altri due documenti già segnalati da Vita Spagnuolo e riguardante un coinvolgimento di Pinti nelle vicende dei cordai romani. I nuovi dati lasciavano comunque aperte diverse questioni (vi erano forse più 'cavalieri del liuto'? quanti erano i liutisti chiamati 'Lorenzino'? perchè il nome di Pinti non compare mai nelle fonti musicali? ecc.).
Il mio contributo è consistito nel riconsiderare nel loro insieme tutti i dati noti, verificandone l'esattezza attraverso un controllo diretto delle fonti documentarie, e nell'ampliamento della ricerca in direzioni finora inesplorate, ciò che mi ha permesso di individuare importanti documenti inediti e di offrire una nuova chiave di lettura di quelli già noti, chiarendo i punti oscuri: ne è conseguita una ricostruzione più completa e coerente delle vicende biografiche e delle personalità di Lorenzino e di Vincenzo, utile anche per ricostruire il corpus musicale dei due compositori.


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Antonio Caroccia

L''aurora' della musicologia italiana (1908-1942)

«L'iniziativa della fondazione di un'Associazione di Musicologi destinata a raccogliere in un catalogo grande e completo quanto ancora esiste di musica italiana antica nelle nostre Biblioteche e nei nostri Archivi pubblici e privati non poteva venire se non da chi fosse a sicura conoscenza, per lunga frequenza nelle Biblioteche, delle infelici condizioni in cui giace il patrimonio musicale nazionale»: così si esprime nel 1911 Guido Gasperini sulla «Rivista Musicale Italiana», relazionando sull'attività della prima associazione musicologica italiana.
Il presente lavoro di ricerca vuole essere un contributo alla ricostruzione di questa prima società italiana, fondata sul finire del 1907 dallo stesso Gasperini, attraverso un attento studio dello statuto, del regolamento, dei bollettini e soprattutto attraverso lo spoglio della rivista: «La Rinascita musicale» – organo della Società dei Musicologi Italiani –, che ebbe una breve e intensa attività dal 1909 al 1911 e fra cui compaiono diversi articoli scientifici di Cesari, Gasperini e Fano.
Fin dal primo congresso nazionale del 1908 che si svolse a Ferrara, la Società riscosse a livello nazionale numerosissime adesioni, tra cui spiccano quelle di Martucci, Cilea, Tebaldini, D'Arienzo, De Nardis ecc. Se questa Società fu fondata con lo scopo di redigere un grande catalogo musicale delle composizioni conservate nelle nostre biblioteche e archivi, la volontà di Gasperini e dei suoi soci non si arrestò e proseguì con la pubblicazione di innumerevoli opere scientifiche; soprattutto grazie alla capillare attività di diffusione su tutto il territorio nazionale di sezioni e sotto-sezioni, che testimoniano una fervente coscienza musicologica nata in Italia fin dai primi anni del Novecento, in stretta simbiosi con la Internationale Musikgesellshaft.


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Flávio Carvalho

L'opera Abul del maestro brasiliano Alberto Nepomuceno: la sua accoglienza nel 1915 in Italia

Si presenta in questa sede la ricerca sul montaggio dell'opera Abul di Alberto Nepomuceno (1864-1920) – uno dei maggiori compositore brasiliani – rappresentata al Teatro Costanzi di Roma nel 1915. Lo spettacolo fu contrassegnato da esecutori di notevole calibro quali il maestro Vitale e i grandi cantanti Rasponi, Perini, Pertile e Raisa.
Si intende mostrare la fase di allestimento di quest'opera e in quali circostanze essa fu presentata al pubblico italiano. Si richiama l'attenzione sul fatto che questo stesso spettacolo, montato due anni prima (1913) dalla Compagnia Lirica Costanzi in Argentina, Uruguai e Brasile, era stato consacrato come uno strepitoso sucesso.
Per capire il 'fracasso' che suscitò l'opera a Roma, esporremo le critiche dei giornali italiani e brasiliani sull'episodio, in cui sono rivelate le aspettative dei differenti paesi circa la musica brasiliana e in che modo l'opera fu tratttata, in termini contrattuali e teatrali dal direttore del teatro romano Walter Mocchi.
Con questo studio, vorremo dare risalto ad uno degli aspetti della stretta relazione culturale tra il Brasile e l'Italia nel campo della musica erudita.


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Giuliano Castellani

L'Agnese di Paër tra Parma e Parigi: fonti, versioni

La ricerca musicologica è già a conoscenza del fatto che esistono due versioni dell'Agnese di Paër, ovvero quella originale del 1809 per Parma e quella rielaborata dall'autore nel 1819 per il Théâtre Italien di Parigi. Ciò che tuttavia ancora non si conosce con precisione è l'importanza e l'entità dei rimaneggiamenti effettuati nel 1819 sulla partitura e sul libretto. Finora si è affermato correttamente che le rielaborazioni consistono in sostituzioni e tagli ad alcune scene dell'atto secondo. Tuttavia si ritiene, erroneamente, che la musica dei nuovi numeri non si sia conservata, in quanto la partitura autografa, custodita a Parigi presso il Département de la Musique della Bibliothèque Nationale de France, e le coeve edizioni per canto e pianoforte fornirebbero tutti unicamente la prima versione parmigiana.
La mia comunicazione mostrerà invece che la nuova musica per l'Agnese del 1819 si è conservata in alcune fonti ottocentesche dell'opera e che alcuni dei nuovi brani e molte puntature si trovano proprio già nella partitura autografa depositata a Parigi. Inoltre, le nostre ricerche ci hanno permesso di scoprire un fatto tuttora ignoto: infatti, di Agnese esiste anche una terza versione, che oggi riemerge dalle fonti, con cambiamenti rilevanti elaborati da Paër per le riprese parigine della stagione 1823/24.
Lo studio dei rimaneggiamenti parigini e dei nuovi numeri introdotti nell'Agnese (tra cui segnaliamo una nuova aria per Ernesto, una per Agnese ed un nuovo duetto per Agnese ed Ernesto) ha permesso di rilevare le nuove tendenze dello stile compositivo paëriano e, in alcuni casi, di risalire agli influssi subiti nell'ambiente parigino. Inoltre, esso ha permesso di evidenziare con chiarezza la portata dell'influenza di Rossini sulla musica di Paër, visibile, nei nuovi brani, specialmente nell'impiego da parte di Paër di nuove forme quali la cabaletta dell'aria e del duetto e di macrostrutture analoghe ad una «solita forma» ante litteram.
Infine, una riflessione su questi rimaneggiamenti, coadiuvata da una serie di testimonianze della critica teatrale dell'epoca e da un confronto con i casi delle prime parigine dei Fuorusciti di Firenze di Paër (1819) e della Gazza ladra (1821), ha contribuito a capire meglio talune aspettative e i gusti del pubblico parigino in fatto di opera italiana: una solida coerenza drammaturgica, prima ancora che bel canto e buona musica; una certa varietà di carattere, dal serio al comico, senza tuttavia scadere mai nel buffonesco così diffuso nelle opere italiane; scorrevolezza e concisione dello spettacolo; ed infine, musica aggiornata sulle nuove tendenze dell'epoca; queste erano le principali aspettative dei «dilettanti» parigini.


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Anthony Del Donna

An Inquiry into the Usage of the Clarinet in the San Carlo Orchestra during the late-18th century

The history and usage of the clarinet in Italian orchestras of the 18th century remains an incomplete narrative. Prior research on contemporary ensembles has nevertheless demonstrated that wind instruments were extensively cultivated in Austria and Germany in the second half of the century. These studies have also identified the first Northern European virtuosi of the instrument and their collaborations with composers and their contributions to the technique of the instrument. Scant attention, however, has been placed on Italian ensembles such as the San Carlo, which maintained two fulltime clarinetists as early as the latter portion of the 1770's.
This study will examine a brief period in the productive life of the San Carlo Orchestra, namely 1780-90, with emphasis on the usage of the clarinet. Special attention will be given to its inclusion in operatic works and the series of festini performed at the royal theater during the dramatic season. I will also incorporate archival documents, such as contracts and payment documents, as well as excerpts from contemporary operas by musicians such as Guglielmi and Paisiello to illuminate the increasing cultivation of the instrument contemporary to developments in Northern Europe.


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Mariacarla De Giorgi

'Traslitterazione' tonale e simbologia del linguaggio nel Finale della Nona Sinfonia. L'ultimo Beethoven regista di se stesso

La relazione affronterà la problematica del Finale partendo dalle battute 1-5, 208-210 del quarto tempo (le così dette 'fanfare del terrore') per discutere sulla natura degli intenti programmatici beethoveniani e sulla sua volontà di presentare in codice simboli e figure, non solo tramite determinati procedimenti, ma anche con sottili giochi tonali, appositamente pensati per trascendere la materia sonora.
L'intenzionalità beethoveniana si rivelerà in tutta la sua evidenza non solo nella ricerca incondizionata di strumenti di approccio ad un testo, come quello dell'Ode alla Gioia di Schiller, - che sin dagli anni di Bonn aveva accompagnato il compositore quale 'pensiero dominante', immagine intima di una gioia tanto agognata e mai nella realtà veramente raggiunta -, ma anche nel chiaro intento di voler coinvolgere una determinata cerchia di ascoltatori, in grado di ritrovare dei 'significati' nel testo, nel disegno e nei simboli tonali della sinfonia. Beethoven crea perció una cifrata rete d'immagini costitutive di un disegno globale che oltrepassa la sceneggiatura musicale, per fare della musica un linguaggio universale, capace di penetrare il testo, superandone i limiti (già ben noti allo stesso Schiller) ed elevando il compositore non solo a Tondichter 'poeta dei suoni', come lui stesso amava definirsi, ma anche a straordinario regista, in grado di dare non solo un senso di narrazione extramusicale ad eventi altrimenti intraducibili, ma anche un sigillo autobiografico dall'alto della sua funzione demiurgica. Il complesso di questi segnali sonori suggerisce il profilo di un racconto, che inizia con la nascita di un pensiero, insito nella stessa natura umana, ossia la ricerca della gioia da parte dell'uomo, e si conclude con il raggiungimento di essa in uno stato paradisiaco della civiltà, in cui l'uomo potrà finalmente incedere con passo trionfale nel tempio della Gioia, dopo averne finalmente compresa la vera natura, attraverso un lungo e doloroso processo di maturazione personale, che lo porterà al superamento di una realtà ostile, permettendogli di guardare aldilà dell'esperienza particolare e individuale, ad un'immagine trasfigurata e universale della Gioia.
La relazione propone una nuova interpretazione del disegno globale della sinfonia, e in linea con le nuove tendenze della musicologia anglo-americana e tedesca (Lockwood, Salomon, Treitler), suggerisce un approccio al linguaggio dell'ultimo Beethoven da una prospettiva assolutamente inesplorata.


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Antonio Dell'Olio

Per una indagine sulle cappelle musicali in Puglia durante il secolo XVIII

Nelle parole di Oscar Mischiati «si è ancora lungi dall'avere un soddisfacente quadro della diffusione, della fisionomia e delle vicende di questo tipo di istituzione musicale». Allo stato attuale manca una specifica indagine sul profilo storico ed istituzionale delle cappelle musicali della Puglia settecentesca. L'esistenza delle stesse si lega in maniera predominante alla storia dei Capitoli canonicali locali.
Si indagheranno pertanto i tratti peculiari di tali istituzioni, attraverso lo studio delle strutture finanziarie, il ruolo dei maestri di cappella, nonché la tipologia delle maestranze ricorrenti.
Accanto alle più consuete fonti di indagine, rappresentate dai contratti di ingaggio per i musici e dalle spese registrate nei libri degli esiti dei Capitoli cattedrali, si è fatto ricorso anche ai catasti onciari, utili a tracciare un profilo patrimoniale e sociologico dei musicisti attivi in Puglia.
Un tratto tipicamente pugliese che si riflette anche sulle attività musicali riguarda la differenza tra le chiese vescovili e quelle 'palatine': quest'ultime, svincolate dalla giurisdizione vescovile, potevano contare su privilegi regii, in ragione di un antico potere esercitato dal re di Napoli. È il caso delle chiese di Altamura, Acquaviva delle Fonti, e delle basiliche di San Nicola di Bari e San Michele a Monte Sant'Angelo.
L'indagine, infine, documenterà l'organizzazione musicale dei conventi pugliesi, non mancando di rivelare in qualche caso esiti interessanti: si pensi alla presenza di figure femminili nel ruolo di 'maestro di cappella'.


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Enrica Donisi

«Delle sere alcune sono destinate alla Musica, altre all'Eloquenza, e altre alla Poesia»: Domenico Benigni, le sue poesie, la musica e le Accademie degli Umoristi e dei Gelati nella Roma del Primo Seicento

Domenico Benigni è un poeta e scrittore vissuto a Roma nella prima metà del Seicento. Fra i quattordici compositori che musicarono le sue liriche risultano Giacomo Carissimi, che ne ha musicate quindici; Luigi Rossi e Mario Savioni, amici del Benigni; Domenico Mazzocchi; Domenico Visconti; Stefano Landi; alcune poesie furono musicate postume da Giacomo Pertie e da Pompeo Natali. In molte di queste opere musicali sono inserite anche poesie di autori che hanno condiviso col Benigni importanti esperienze culturali - fra cui l'Accademia degli Umoristi - ed hanno avuto con lui una fitta corrispondenza epistolare. La ricostruzione cronologica e la destinazione delle poesie a vari esponenti di primo piano ci permette di proporre una sua biografia. Benigni ebbe durevoli contatti con: Francesco Mancini; Francesco della Valle; Pietro della Valle; Gasparo de Simeonibus; Francesco Balducci; Andrea Barbazza; Antonio Bruni, che in una lettera ad Andrea Barbazza, discorre volentieri sulla musica e che compone una poesia per Orazio Michi; Tommaso di Leva, che dedica a Benigni la 'Premessa' a Le Gemme poetiche, in cui cita Francesco Balducci. Nel 1642 Francesco Balducci, Domenico Benigni e Andrea Barbazza entrano nell'Accademia dei Gelati, fra i fondatori ci sono Camillo e Berlingerio Gessi, mecenati di Antonio Bruni. Benigni destina due poesie a Berlingerio Gessi junior. In Agli Accenti canori e in Che fai, Bernino, dedicate rispettivamente a Berlingerio Gessi e a Giovanni Lorenzo Bernini, il Benigni loda Leonora Baroni. Nella sua Idea di una Veglia racconta di una serata trascorsa con le cantatrici Leonora e Caterina Baroni. Alcune poesie sono dirette a Giuseppe Cesare d'Arpino, a cui anche Antonio Bruni scrive una lirica. Domenico Benigni, Cameriere Segreto di Innocenzo X, dedica poesie a Camillo Pamphili e ad Olimpia Aldobrandini, mecenati di vari musicisti e a Carlo Gualtiero. È l'ambiente in cui la musica, la poesia, la pittura convivono dialetticamente. È un ambiente culturalmente complesso ma anche completo, omogeneo. Un ambiente ancora sconosciuto in tutto il suo essere.


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Giovanna Facilla

Robert Bruce, un pastiche nel silenzio rossiniano

La fede nella concezione estetica della musica come 'arte ideale' non ha mai allontanato Rossini dalla concezione artigianale dell'opera. All'occorrenza, egli ha trovato conveniente ricorre alla contaminatio, facendo migrare pezzi portatori di una certa 'atmosfera morale' in numeri di altre opere che la ricalcavano.
L'ultima contaminatio, o per dirla coi sostenitori della concezione unitaria dell'opera, l''ultimo sacrilegio' il pesarese lo ha compiuto nel 1846, in periodo di pieno 'silenzio', quando, sulle vive insistenze del direttore dell'Opéra, Léon Pillet, acconsentì all'adattamento dei più bei pezzi de La donna del lago e di altre opere, poco conosciute a Parigi, ad un nuovo libretto. La cucitura del pasticcio, dal titolo Robert Bruce fu compiuta, a Bologna, da Louis Abraham Niedermeyer in collaborazione con il drammaturgo Gustave Vaëz. La messa in scena della nuova opera fece gridare allo scandalo e suscitò un vespaio di polemiche tra i vari critici parigini, non tutti concordi nel giudicare il valore di questo 'noble pastiche', come Rossini stesso lo definì.
Fino al compimento della tesi in oggetto, non era stato ancora compiuto uno studio analitico dell'ouverture, dei numeri e del libretto che permettesse di cogliere il valore dell'opera e confutare o meno i giudizi espressi. È ciò che si è fatto nel corso della dissertazione, unitamente ad un'accurata comparazione della partitura con le fonti preesistenti, che ha messo in luce gli interventi originali, le variazioni e rielaborazioni compiuti. Dal lavoro di ricerca, è emerso che Robert Bruce si apparenta ad una vera e propria opera, caratterizzata da un'unità tematica, strutturale, stilistica e realizzata nel rispetto di uno stereotipo rossiniano. Il soggetto mantiene dei punti di contatto con La donna del lago, ricalcandone, per molti aspetti, personaggi, situazioni, ambientazioni ed evidenziando i medesimi tratti della moda ossianica ivi presenti. A completamento della tesi, si sono ricercati ed esposti i motivi di ordine stilistico che indussero Rossini ad affidare a Niedermeyer il lavoro di imbastitura e la natura dei rapporti intercorsi fra i due compositori. Il lavoro si allarga, ancora, a far conoscere con rigoroso metodo scientifico, la genesi dell'opera, le motivazioni estetiche del silenzio rossiniano, le cause contingenti che lo hanno anticipato ed il particolare apporto compositivo dei due maestri all'opera. La tesi si completa dimostrando come l'interesse per la contaminatio occupi un posto di pieno rispetto nella creatività di Rossini e quanto questa prassi, operata per sua mano o con l'aiuto di maestri collaboratori, dai suoi osteggiatori e sostenitori, con rifacimenti, parodie, arrangiamenti e sostituzioni di arie o pezzi vari, abbia facilitato l'ascesa del pesarese all'apogèo del successo ed accresciutone la fama.


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Claudia Gabriella Fatato

L'identità culturale e politica de La fida ninfa di Maffei – Vivaldi

Sebbene il dramma pastorale La fida ninfa di Scipione Maffei e Antonio Vivaldi sia stato approfondito nel corso del tempo (si pensi all'edizione critica di Raffaello Monterosso ed all'approccio letterario di Gianfranco Folena) sono ancora molti i punti da chiarire, gli aspetti da indagare con maggior cognizione di causa. Nonostante qualche perplessità della critica, infatti, l'opera in questione presenta aspetti particolari ed originali che la rendono assai avvincente, primo fra tutti una forte impronta simbolica che, partendo da connotazioni ideologiche e politiche del testo, tocca insospettati ambiti di carattere musicale e spirituale.
Nella mia ricerca dedico un'attenzione particolare alle caratteristiche del libretto e alle cure filologiche del suo autore, alle diverse redazioni alle quali fu sottoposto il testo, e alle ragioni che intervennero a ritardare la sua rappresentazione, quale base di una nuova possibile interpretazione. Attraverso analisi ed osservazioni intra/infratestuali drammatologiche mostro, in particolare, come l'opera sia ricollegabile con la sensibilità dell'epoca, in special modo con l'ambiente culturale arcadico; possa essere considerata identificativa dell'inconfutabile amor patrio maffeiano, e della coscienza di una precisa identità italiana, in un periodo in cui la fisionomia politica e culturale della Penisola era ancora in formazione; possa essere considerata un'opera d'attualità aperta, con tratti sperimentali sia nei suoi aspetti linguistici e musicali che ideologici.


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Carlo Fiore

Pater meus agricola est

Nel Rinascimento l'autoritratto, almeno nell'ovvia accezione figurativa, ha vissuto un epoca d'oro. Gli autori, concentrati come mai prima sull'elaborazione di uno stile personale, hanno trasformato l'autoritratto in un genere autonomo, allontanandosi dall'arcaica concezione per la quale potevano riservarsi solo piccoli spazi introspettivi entro opere di grande respiro (come hanno fatto Giotto o Cimabue ritraendo se stessi in affreschi affollati di altre figure).
Intorno al 1500 l'idea di autoritratto ha preso piede anche in polifonia. Finora l'esempio più studiato è stato il mottetto Illibata Dei Virgo nutrix di Josquin, il cui nome è in acrostico tra le prime lettere dei versi; ma almeno un altro contemporaneo, Alexander Agricola, ha lasciato un autoritratto musicale: la chanson strumentale a tre voci Pater meus agricola est (trasmessa nel De arte canendi di Sebald Heyden e in una stampa di Ottaviano Petrucci).
Dall'analisi del brano e dalla comparazione con altre opere sia profane sia sacre di Agricola, emergono numerosi tratti stilistici personali che ne confermano lo status di 'autoritratto'.


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Kostantinos Kardamis

'Nobile Teatro di San Giacomo di Corfù': an overview of its significance for the Greek 'Ottocento'

For more than 150 years (1733–1893) 'Nobile Teatro di San Giacomo' of Corfu played a central role in the musical life of both the Ionian Islands and Modern Greece, despite the fact that, compared to other European operatic stages, it had a rather provincial character. Its importance is not confined only to its operatic activities, but is equally extended to its rapid transformation into a musical pole that concentrated musicians, singers and music teachers, mainly from Italy, as Corfu was practically a part of the wider Italian operatic market. Several of these individuals settled in Corfu and constituted a significant background towards the creation of the distinctive musical achievements of the Greek Ottocento.
This paper will be limited chronologically from the end of eighteenth century until 1864 (year of the annexation of Ionian Islands to Greece) and, with Teatro San Giacomo in its background, it is going to assess in brief two main topics; a) the significance of the Italian musicians' presence in Corfu in conjunction to both musical and educational issues, and b) the rise of the so-called 'Ionian School' of music as a direct effect of the creative amalgamation that was achieved between the Italian practices and the local conditions. Special reference will be made to the personality of Nikolaos Chalikiopoulos Mantzaros, one of the most misrepresented personalities of Greek 19th century music, the first of a series of indigenous composers, who benefited from the creative assimilation of the two cultures.


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Ursula Kirkendale

Il Re del Cielo e il Re di Francia: sulla storia di un topos musicale

L'imitazione di Versailles, tanto indagata nella storia di architettura, giardini, ritratti, costumi, moda, letteratura ecc., non era meno presente nella musica. Molti compositori, anche al di fuori della Francia (Purcell, Händel, Bach, fino a Schumann e oltre) hanno imitato Lully, il principale compositore del Re Sole, soprattutto con le sue cosiddette ouverture francesi, che nei balli e poi nei melodrammi sorpassarono in splendore e dignità tutto quello che si era già udito. Ma questa prominente manifestazione della Versailles musicale deve essere intesa non solo nei suoi aspetti formali, come un genere strumentale perfezionato, ma anche come veicolo di una potente funzione retorica. Le caratteristiche scale in ritmo puntato e tempo grave furono accolte nella musica vocale e divennero un topos del 're', della sua gloria e maestà. Tantissimi esempi dimostrano l'uso di questo stile per il Re di Francia e il Re del Cielo, lo Jupiter profano, i re terreni, e nel secondo Settecento la semplice 'nobiltà', anche in senso negativo. Moderne interpretazioni immanenti hanno impedito la comprensione razionale di questo topos storico: si è parlato di maestà 'oscura' [!], di sentimenti psicologici di 'solennità'.
Il gesto ha almeno tre radici: 1) il ritmo puntato fu considerato già da tempo 'francese'. Il suo uso nei paesi tedeschi fu analogo al pretenzioso 'franzparlieren'. Ma anche il solenne metro del peana fu adottato da Aristotele, Quintiliano, ecc.; 2) le scale coincidono similmente con i requisiti ufficiali del classicismo esposti dai consiglieri di Luigi xiv; 3) il tempo molto lento - normalmente indicato con 'grave' o 'maestoso' – corrisponde al movimento dei sovrani, come fu descritto e prescritto nei manuali regali, libri di etichetta, cerimoniali di corte dall'antichità in poi, fondato sull'etica tanto stoica quanto cristiana (temperantia, constantia).
È di estremo interesse che Luigi xiv e il Re del Cielo sono musicalmente identici. Così la musica si collega all'ultima fase della 'teologia politica'. È testimone: 1) della diffusione del mito personale di Luigi come 'Dieu en terre' (cfr. ruoli teatrali, emblemi, versi panegirici) e gli antichissimi fondamenti teologici, legali e storici della sua pretesa (si veda l'esaltazione del re francese fra i monarchi europei dal regno medievale centrato su Cristo fino a Bossuet, la lunga vita del mito della 'scrofula', e le apoteosi del Settecento); 2) della vitalità della tradizione che conferì al Re del Cielo gli attributi concreti del sovrano terreno (cfr. il cerimoniale imperiale 1 Tess. 4:13 sg., Apoc. 4, e culto paleocristiano; Cristo come imperatore negli scritti patristici e l'arte bizantina e ottoniana, a Luigi xiv in Val de Grace). Il topos sbiadisce dopo la Rivoluzione, quando il Re del Cielo perde la sua potente immagine terrena.
Una delle più grandiose presentazioni del topos – il 'rex tremendae majestatis' di Mozart – sarà discussa dettagliatamente.


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Paulo M. Kühl

Rossini e i giornali a Rio de Janeiro negli anni 1820

I problemi della ricerca sull'opera in Brasile all'inizio del secolo XIX sono comuni a tante altre ricerche: documentazione incompleta e dispersa, difficoltà di reperire i libretti, inesistenza di partiture, ecc. Con l'arrivo della corte portoghese a Rio de Janeiro nel 1808, la documentazione diventa più abbondante, tra l'altro, perchè fu revocata la proibizione di stampare libri e periodici e anche perchè crebbe sostanzialmente il numero dei racconti dei viaggiatori stranieri, con informazioni sui teatri e gli spettacoli.
Lo scopo della presente comunicazione è di esaminare come furono accolte le opere di Rossini in Brasile dal 1819, quando fu rappresentato per la prima volta il Tancredi a Rio de Janeiro. Negli anni Venti, le opere del compositore di Pesaro dominano la scena musicale della città, che includeva anche opere di Paër, Puccitta ed altri compositori. I giornali a Rio dedicano, negli anni Venti, articoli sul Teatro S. João (dopo S. Pedro Alcantara), dove le opere erano rappresentate. Le critiche non erano particolarmente specifiche, ma il repertorio, il sucesso della musica rossiniana e alcune osservazioni sui cantanti e musicisti emergono costantemente dai giornali. Se per la pittura, la scultura ed anche il teatro recitato esisteva una forte preocupazione nazionalista, per quel che riguardava la musica, e più particolarmente il teatro di opera (che a quel momento era ancora essenzialmente italiano), per il pubblico e per la critica le opere rossiniani costituivano l'esempio di grandi realizzazioni.


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Mariaconcetta Lacorte

L'acustica: un bene culturale

Una parte consistente della cultura musicale italiana contemporanea si è sviluppata all'interno dei teatri storici. Essi costituiscono, infatti, il 'luogo', sia in senso architettonico, sia in senso acustico, per il quale una vasta parte del repertorio musicale (soprattutto quello operistico) è stata espressamente concepita.
Le caratteristiche acustiche di un teatro storico, cioè l'insieme delle qualità che caratterizzano l'ascolto in quell'ambiente e rendono questo 'luogo' unico tra tutti gli spazi per la musica, costituiscono, soprattutto nel nostro Paese, un ingente patrimonio culturale che può essere, a buon titolo e senza alcuna ombra di dubbio, definito 'bene culturale acustico'. Tale bene culturale affianca, a tutti gli effetti, quello architettonico e quello storiografico ed anzi, visto il principale uso dei nostri teatri storici per la fruizione delle diverse produzioni musicali, risulta, forse, ad essi preminente.
A differenza dei luoghi di spettacolo dell'antica Grecia ubicati prevalentemente all'aperto, i teatri chiusi sono influenzati dai problemi delle riflessioni acustiche delle pareti. In questi luoghi le onde acustiche interagiscono anche con le pareti, con il pavimento e con il soffitto e determinano un campo sonoro misto la cui influenza sull'acustica degli stessi luoghi, risulta di difficile previsione. È per tale motivo che sin dall'inizio del Novecento i teatri erano opere casuali: essi erano plagiati da forme teatrali esistenti delle quali si conosceva il buon funzionamento, oppure venivano innovati nella forma, costruiti, provati e poi demoliti, se non rispondevano alle esigenze funzionali per le quali erano costruiti. Per millenni l'uomo non è riuscito a controllare il fenomeno della trasmissione del suono in ambienti chiusi, poiché fenomeno troppo complesso per essere compreso e definito. A tale problema c'erano da aggiungere anche i complessi problemi di psico-acustica che solo in tempi recenti si è incominciato a indagare con criteri scientifici. Negli ultimi due decenni, anche grazie allo straordinario sviluppo dell'informatica, si sono sviluppate metodologie di calcolo e di progettazione in grado di fornire ai progettisti tutte quelle informazioni necessarie alla corretta progettazione e simulazione delle sale acustiche. Si fa così riferimento ai programmi di CAD Acustico che hanno fatto scomparire quella presunzione di validità, usata in sede delle passate progettazioni, del criterio guida delle linee visive: «se la sala consente una buona visione della scena, allora essa consente anche una buona acustica». Attualmente l'impiego delle tecnologie di simulazione acustica nel panorama italiano risulta praticato quasi esclusivamente nell'ambito strettamente tecnico scientifico oppure per scopi di progettazione professionale estremamente avanzati, mentre detto impiego è pressoché assente nel settore degli studi acustici finalizzati alla conservazione e documentazione dei beni culturali di tipo musicale. Ed è proprio per dimostrare che le nuove metodologie informatiche possono avvicendarsi o integrarsi anche in questo ultimo settore, nonché possono dimostrare l'evoluzione che nel corso degli anni si è avuta su strutture o beni storici in conseguenza dei diversi materiali costruttivi usati, si è ritenuto esaminare l'evoluzione acustica che ha subito il Teatro Comunale di Mesagne, in provincia di Brindisi, inaugurato nel giugno del 1895 e finito di restaurare, per l'ennesima volta, nel marzo del 2000.


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Jean-François Lattarico

Busenello drammaturgo. Primi appunti per una edizione critica dei melodrammi

L'Incognito Accademico Giovan Francesco Busenello (1598-1659) fu uno dei massimi esponenti del teatro musicale veneziano della prima metà del seicento. È l'autore non solo della celeberrima Incoronazione di Poppea, ma anche di altri quattro libretti, tutti musicati da Francesco Cavalli: Gli Amori di Apollo e Dafne, La Didone, La prosperità infelice di Giulio Cesare dittatore, e infine, La Statira, principessa di Persia, raccolti poi in volume dall'autore nel 1656, con il titolo di Delle ore oziose. A questi libretti – solo la musica del Giulio Cesare è andata perduta – bisogna aggiungere un sesto dramma, ancora inedito, La discesa di Enea all'inferno, mai musicato, di cui prevediamo una trascrizione con un ampio apparato critico.
La produzione letteraria di Busenello è rimasta in gran parte inedita (due romanzi incompiuti, La Floridiana e Il Fileno e numerosi poesie in dialetto). Essa ci rivela una concezione insieme pessimistica e ironica della vita che rifulgerà nei suoi drammi per musica, ai quali sarà proficuo confrontare certe pagine teoriche (penso alla famosa «lettera sulla Statira», in cui l'autore espone le sue concezioni melodrammatiche).
La relazione prevede una presentazione tematica e strutturale, con, segnatamente, un primo accenno alle fonti letterarie dei vari libretti (Petrarca, il teatro spagnolo del Siglo de oro, o quello shakesperiano, ma anche i romanzi e le raccolte poetiche coevi). Essi, partendo da un assetto mitologico (L'Apollo e Dafne), se ne discostano, seguendo così l'evoluzione stessa dell'opera veneziana che «sbirciando», in qualche modo, verso il soggetto epico-letterario (la Didone, La discesa d'Enea), si avvia poi verso il filone storico (la Poppea, il Giulio Cesare), nonché verso quello esotico (la Statira). In altri termini, si tratta di fare il punto sui rapporti fondamentali che legarono l'ambiente letterario degli Incogniti – di cui Busenello fu uno dei più insigni rappresentanti – con l'esordio veneziano del teatro d'opera. La mia ricerca vuol mettere in rilievo questo legame già percepibile nell'opera di Busenello (numerosi sono gli spunti tra i romanzi, le poesie e i melodrammi), che appare così un pò come il simbolo emblematico di questo straordinario laboratorio insieme politico, storico, letterario e melodrammatico degli Incogniti capeggiati dal Loredano, grazie ai quali l'opera veneziana ebbe una rinnomata diffusione.


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Marco Lombardi

L'opera di G. B. Degli Antonii nel quadro della nascita della letteratura per violoncello solo: le Ricercate per violoncello ò cembalo op. 1 (Bologna, 1687) e le Ricercate per violino a due (MoE Ms. Mus. D.9)

La relazione intende fare il punto sullo stato delle conoscenze attuali a proposito del compositore bolognese Giovan Battista Degli Antonii soprattutto in rapporto alla nascita della letteratura per violoncello solo fra gli anni '80 e '90 del xvii secolo. Elemento essenziale che la ricerca ha tenuto costantemente presente, è la presenza presso la Biblioteca Estense di Modena di un manoscritto autografo (Mus. D.9) contenente Dodici Ricercate per violino e violoncello. La parte di quest'ultimo è del tutto affine alle Dodici Ricercate per violoncello solo op. 1 (Bologna, 1687) che sono state a lungo ritenute il primo esempio in assoluto di composizione dedicata al violoncello (essendo la data di pubblicazione dei Ricercari di Domenico Gabrielli posteriori di due anni mentre la data di redazione del Trattenimento musicale sopra il violoncello à solo di Domenico Galli è il 1691). Dopo una disamina biografica nella quale viene proposto lo stato di sostanziale confusione che vige su alcune delle date che riguardano vita, morte, carriera e opere di Degli Antonii si passa ad un inquadramento delle Ricercate nel panorama della musica strumentale emiliana della seconda metà del Seicento dando molto rilievo, come detto, a collocare l'opera in rapporto al sorgere della letteratura per violoncello non accompagnato (e dunque, oltre alle già citate opere di Domenico Gabrielli e di Domenico Galli alcuni brani manoscritti di Giuseppe Colombi attualmente giacenti presso la Biblioteca Estense di Modena). Segue una analisi degli aspetti strutturali complessivi delle Ricercate atta a porre in evidenza il progetto complessivo che sta alla base della stesura dell'opera (le ricercate infatti procedono, per così dire, a coppia rispettando le pari e le dispari criteri compositivi fortemente individuati differenti fra loro), delle tonalità utilizzate, delle chiavi (presenti in gran numero, forse richiamo ad una possibile destinazione didattica dell'opera) e del tipo di strumento che potrebbe essere considerato ottimale per la loro esecuzione nonché un'analisi complessiva degli aspetti musicali peculiari di ciascuna ricercata. La parte finale è dedicata ad una rassegna dell'unica edizione moderna dell'opera a cura di Lauro Malusi apparsa nelle Edizioni Zanibon nel 1976 e a quella di una serie di differenti trascrizioni delle Ricercate per strumenti diversi che hanno visto la luce in anni recenti.


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Alessandro Loreto

La «mala pasqua» de La lupa di Pierantonio Tasca – Giovanni Verga: peripezie di un'opera nata sotto una cattiva stella

Le vicissitudini della versione teatrale de La lupa di Giovanni Verga sono state oggetto dell'attenzione dei musicologi solo per il proposito paventato intorno alla metà degli anni Novanta del xix secolo da Giacomo Puccini e Pietro Mascagni di musicarne il libretto esemplato dallo scrittore catanese con la fondamentale collaborazione di Federico De Roberto. Ma una volta che i due compositori toscani ebbero indirizzato definitivamente i propri interessi verso altri progetti teatrali, la musicologia ha perso le tracce de La lupa, limitandosi a prendere atto che il dramma verghiano venne posto in note molti decenni dopo dal misconosciuto siciliano di Noto Pierantonio Tasca (1858-1934), senza preoccuparsi di verificare se il libretto stampato una prima volta nel 1919 sia stato effettivamente quello sottoposto al giudizio di Puccini e di Mascagni e senza nemmeno chiedersi chi veramente fosse Pierantonio Tasca, un epigono ormai in disarmo della 'Giovane Scuola' ma che sul finire dell'Ottocento, oltre ad alcune parziali affermazioni teatrali, era riuscito a cogliere un clamoroso quanto effimero successo internazionale con la sua opera in due atti A Santa Lucia (Berlino, T. Kroll, 1892).
Lo scopo di questa relazione, che si inserisce nel quadro di una ricerca ancora in corso da me condotta su Tasca e sulla vita musicale nella provincia di Siracusa tra Otto e Novecento, è proprio quello di ricostruire, attraverso la consultazione di documenti di archivio, recensioni giornalistiche e carteggi poco noti tra Verga ed il compositore netino, le traversie incontrate da La lupa all'indomani del rifiuto a musicarla da parte di Puccini e di Mascagni, le peripezie che portarono al controverso allestimento della versione musicata da Tasca (Noto, T. Littorale, 1932) e lo scioglimento di alcune problematiche filologiche relative alla stesura del libretto, che in alcune piccole parti fu a quanto pare modificato per volontà dello stesso compositore.
I risultati dell'indagine, paradossalmente, più che la pur importante chiarificazione di alcune zone d'ombra sulla genesi del complesso dramma verghiano ci rivela la forte personalità di un musicista quale effettivamente fu Tasca, che, malgrado avversità di ogni genere e gli ostacoli frapposti dagli editori Ricordi e Sonzogno, riuscì tardivamente a portare sulle scene un'opera dal soggetto ormai non più attuale, ma la cui complessità, ampiezza e visione drammatico-musicale sono degni di attenzione soprattutto in relazione a quel genere verista di ambientazione meridionale di cui il musicista netino agli inizi dell'ultimo decennio dell'Ottocento fu considerato, dopo l'improvviso successo della mascagnana Cavalleria rusticana, il più promettente rappresentante.


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Valentina Mirella Marangi

Musica e diritto d'autore nell'era di Internet

L'evoluzione della disciplina di tutela delle opere intellettuali vive in questi ultimi anni una fase particolarmente dinamica, animata da un vivace dibattito teorico e da numerosi interventi legislativi nazionali e sovranazionali. Il mutato scenario tecnologico, accanto ai ben noti vantaggi dell'impiego del formato digitale e delle moderne tecnologie di comunicazione nelle attività di produzione, elaborazione, raccolta e scambio di informazioni, ha rivelato infatti alcuni nodi problematici in rapporto al sistema di protezione della proprietà intellettuale. La legislazione sul diritto d'autore, ad esempio, concepita e modellata sul sistema di produzione e diffusione di testi a stampa, e progressivamente estesa a nuovi mezzi di comunicazione, palesa notevoli limiti se applicata alle opere dell'ingegno digitali.
È d'altronde ormai evidente che la sfida di più rilevante interesse che il futuro sistema di tutela delle opere dell'ingegno deve essere in grado di sostenere non è soltanto quella del bilanciamento fra le esigenze di tutela intellettuale ed economica dei soggetti produttori e diffusori di cultura con le istanze di libertà di accesso provenienti dai suoi fruitori; si tratta anche e soprattutto di ripensare il sistema di produzione e di fruizione della conoscenza in termini nuovi, tali da assicurare il libero e incondizionato progresso di scienza e arti e la promozione di investimenti e nuova occupazione nelle attività artistiche e culturali.
Il presente studio è dedicato al diritto d'autore e ai diritti connessi relativamente alle opere musicali in formato digitale, con particolare riguardo alle principali questioni emerse dall'adozione dei sistemi di distribuzione della musica mediante le reti telematiche. Vengono delineati i principali aspetti degli orientamenti culturali espressi in rapporto al tema della proprietà intellettuale; viene poi esaminato l'attuale sistema di tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi, sia dal punto di vista tecnico in merito ai Digital Rights Management System, sia dal punto di vista giuridico, alla luce dei più recenti sviluppi legislativi nazionali e sovranazionali. Vengono infine esaminate alcune tendenze di sviluppo e le prospettive future.


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Elsa Martinelli

Soli Deo honor et gloria. Organi, organari e organisti a Lecce nello spoglio del settimanale «L'Ordine»

Oggetto della ricerca: spoglio di notizie su avvenimenti a carattere musicale (esclusivamente relativi all'arte organaria e organistica nella Lecce della prima metà del Novecento) nella lettura del settimanale cattolico salentino «L'Ordine», in folio, le cui annate ricadono nell'arco cronologico dal 1907 al 1953.
Contenuti della ricerca: organo ufficiale dell'Azione Cattolica Salentina, «L'Ordine» fu osservatorio diretto di quanto, tra politica, religione e cultura, accadeva in quegli anni nella diocesi leccese, in particolare a Lecce, autentica 'ville-église', sede di un numero ragguardevole di edifici ecclesiastici, i cui apparati liturgico-musicali trovarono larga eco nelle pagine del citato ebdomadario. Nello spoglio dei resoconti-cronache-recensioni giornalistici dei principali fatti e avvenimenti (giubilei ecclesiastici, feste patronali, centenarie, scolastiche, etc.), è stato possibile ricavare una interessante serie di informazioni a carattere musicale (ruotanti attorno all'organo a canne, strumento liturgico per eccellenza), vissute e raccontate dalla voce 'interessata', e sotto lo sguardo vigile e attento di coloro che all'epoca si resero protagonisti di un cattolicesimo militante.
Nello specifico musicale, spiccano i dati quanto alle più rappresentative chiese barocche della città (Cattedrale, Basilica di Santa Croce, chiesa del Carmine, di S. Angelo, etc.). In primo piano si collocano le notizie relative alla realizzazione di nuovi, e talora monumentali, strumenti polifonici ad opera di premiate ditte (Ruffatti da Padova, Inzoli da Crema, Aletti di Monza, Consoli di Locorondo, etc.), col seguito dei concerti inaugurali. Così, leggendo tra le colonne del settimanale, è possibile registrare la presenza a Lecce di organisti, e compositori di fama locale (maestri Francesco Pellegrino, Giuseppe D'Elia, Egidio Schirosi, Vincenzo Mazzotta, etc.), concertisti di fama nazionale e/o internazionale (Angel Turriziani, Ulisse Matthey, etc.), con i relativi programmi musicali. Vi si traggono notizie in merito alle composizioni appositamente concepite per organo solo, ovvero con il sostegno-concorso della schola cantorum o dell'ensemble strumentale di turno.
Attraverso tale fonte giornalistica, di inedita lettura in quest'ottica di ricerca, si dà conto di un'intera stagione attraversata dalle questioni della riforma della musica sacra, una stagione nel corso della quale l'organo è ancora vivo protagonista di riti e cerimonie musicali solenni, prima degli anni dell'oblìo e della decadenza, quando molti strumenti, testimoni di un'antica tradizione verranno soppiantati da più modesti harmonium di serie. Tale contributo illustra e costituisce un ulteriore capitolo nel personale filone di ricerca sull'arte organaria del Salento (dal '500 al '900), sviluppato negli ultimi anni in molte sue sfaccettature di studio (schedatura, restauro, valorizzazione del patrimonio del territorio), producendone di volta in volta inedita documentazione archivistica, fotografica, tecnica, etc.


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Paolo Mechelli

I fili della scena. Alessandro Lanari nel circuito teatrale di primo Ottocento: Il carteggio con impresari e delegati (1820-1830)

Attraverso lo studio dettagliato di una non esigua porzione (millenovanta lettere nel periodo 1820-30) dell'enorme carteggio di Alessandro Lanari conservato presso la Biblioeca Nazionale di Firenze (circa quindicimila lettere, per lo più destinate all'impresario nel trentennio 1820-50), lo scrivente ha potuto affrontare le problematiche del sistema produttivo dell'opera italiana di primo Ottocento da una prospettiva 'interna'. L'impresario e i suoi corrispondenti (altri impresari, agenti teatrali, delegati, amministratori) vengono colti nel 'fare' quotidiano dell'organizzazione dello spettacolo operistico, attraverso le carte messaggere di una pressante e vorticosa attività, per noi vero 'documento' nell'accezione di Braudel, nato per contingenti esigenze professionali, un documento che serve all'hic et nunc del rapporto di lavoro e non per trasmettere alla posterità una 'immagine' degli estensori, dei destinatari o degli argomenti trattati confezionata ad arte. Spoglio, lettura ed interpretazione di questo magma documentario eterogeneo e impervio (grafie stenografiche e frettolose che veicolano una sintassi franta, contorta, spesso mossa da impulsi di oralità e costellata da un lessico tecnico e convenzionale) hanno teso ad individuare le linee costitutive, i rapporti privilegiati, i significati, gli usi. In un secondo tempo, compresi i meccanismi e le convenzioni, il materiale è stato impiegato per studiare nel dettaglio i funzionamenti del sistema produttivo dello spettacolo operistico dell'Ottocento, i comportamenti e le strategie del cosiddetto 'Napoleone degli impresari', il 'dietro le quinte' del montaggio di una stagione d'opera.
Attraverso la trama delle segrete relazioni di Lanari (i cui interlocutori privilegiati sono agenti teatrali e delegati, maggiormente dispensieri di informazioni circa le strategie operative e le peculiarità della prassi produttiva), le acquisizioni storiografiche e gli esiti più interessanti di questo plesso documentario si concentrano sostanzialmente su: appalti truccati (accaparramento di piazze teatrali toscane e marchigiane, tramite strategie truffaldine di conoscenze), artisti (ingaggio, strategie di scritturazione e trattamento economico, contratti a lungo termine), nonché partiture (gestazione e confezione del prodotto ad hoc, manipolazione e copiatura non autorizzata, circolazione clandestina e nolo), svelandone le strategie segrete da 'dietro le quinte'.
L'esito di un triennale lavoro ha condotto all'allestimento di un CD-ROM che consente di consultare tutte le lettere trascritte o riassunte, rintracciare le occorrenze dei singoli nominativi, o dei titoli, seguire lo svolgersi della corrispondenza di un singolo mittente.


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Nicola Panteghini

Dimensioni audiovisive nell'universo sonoro di Alessandro Melchiorre

L'intento è quello di gettare maggior luce sulla figura del compositore contemporaneo Alessandro Melchiorre, presentandone innanzitutto un ritratto che mostri l'evoluzione del suo pensiero musicale a partire almeno dagli studi a Darmstadt all'inizio degli anni Ottanta, evidenziando momenti particolarmente significativi. Tra questi, sicuramente l'avvicinamento al mondo del radiodramma e del teatro, un interesse manifestatosi soprattutto nel corso degli ultimi quindici anni, concretizzatosi in particolare in alcuni lavori come Da un atlante occidentale, Unreported inbound Palermo e Mine-Haha, ovvero dell'educazione fisica delle fanciulle, fino al recentissimo Il violino, il soldato e il diavolo.
Il secondo nucleo della ricerca tende invece a svelare i meccanismi ed i progetti sottesi alla realizzazione di due supporti audiovisuali relativi proprio alle rappresentazioni di Mine-Haha ed Unreported, inquadrando la figura del musico all'interno di un complesso sistema di relazioni che si pone alla base dell'effettiva riuscita del lavoro.
Alessandro Melchiorre è venuto a contatto, infatti, con realtà e personalità diverse che hanno direttamente o indirettamente contribuito a modellare la struttura drammaturgica che si è manifestata in un primo momento nello spettacolo dal vivo e in seguito nella trama audiovisuale dei supporti in questione.
Partendo dalla visione del video vhs di Unreported e del video in dvd di Mine-Haha sono state tratte alcune considerazioni relative all'utilizzo dell'elettronica, che costituisce uno dei cardini della poetica del musico, ai problemi di spazializzazione, frequenti in molto teatro musicale contemporaneo, alle motivazioni della realizzazione dei supporti stessi.
Grande importanza ha quindi il rapporto tra la musica, l'autore e l'immagine che si manifesta nella traduzione in video di uno spettacolo altrimenti troppo legato alla sfuggente dimensione teatrale: l'audiovisivo permette una maggiore e migliore fruizione del lavoro che reca con se, e costituisce anche un ottimo e duraturo strumento di studio nell'ambito dell'opera teatrale contemporanea.


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Francesco Passadore

Una miscellanea di edizioni musicali del primo Seicento, dispersa ma non troppo. Epilogo di una cinquantennale latitanza

Una collezione di fonti musicali a stampa pubblicate nella prima metà del xvii secolo scomparve, forse a causa di un incauto prestito, dalla biblioteca di un conservatorio italiano una cinquantina d'anni fa, prima di essere adeguatamente censita dalla scienza bibliografica. Negli anni Ottanta del secolo scorso alcune di queste fonti furono studiate e ne venne dato conto in alcuni articoli, grazie alla disponibilità di un supposto privato proprietario. La miscellanea, che ora è riapparsa ed è in procinto di riprendere il proprio posto negli originari scaffali che le competono, contiene una decina di pubblicazioni vocali con accompagnamento strumentale, edite presso stamperie milanesi e veneziane fra il 1613 e il 1646. Si tratta di unica, di ulteriori esemplari di edizioni già note alla bibliografia musicale e alla comunità scientifica e di un unicum tuttora assolutamente sconosciuto dai repertori musicologici: il Primo libro delle canzonette a una, tre e quattro voci di Giovanni Maria Costa, edito a Milano da Giorgio Rolla nel 1634.
La felice riapparizione consente di sanare una grave perdita subita dal patrimonio bibliografico non solo nazionale, e di offrirla alle cure degli studiosi, per ulteriori e rinnovate indagini, e ai 'musici prattici', affinché ridonino suono a queste pagine.


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Antonio Polignano

Aspetti del linguaggio dissonante negli ultimi madrigali di Luca Marenzio

Lo studio intende indagare e tentare una catalogazione di alcuni procedimenti di scrittura dissonanti impiegati nella produzione estrema del maestro bresciano. Si è scelto Marenzio perché tra i maggiori musicisti del tempo e perché la sua opera appare esemplare nella produzione di fine secolo: sensibilmente inclinata verso un linguaggio espressivo ma pur sempre lontana dagli 'estremismi' di certa produzione di Gesualdo e Monteverdi.
Il saggio si propone di studiare e catalogare unicamente quelle che nella Cartella Musicale Banchieri definisce 'durezze'. Si tratta di procedimenti che pur essendo del tutto simili alle più consuete dissonanze si discostano da queste o per una diversa collocazione rispetto al tactus, o per i valori impiegati o, infine, per il particolare uso delle note di 'passaggio' di valore pari al tactus o addirittura superiore.
Lo studio intende di conseguenza mostrare la diversità del trattamento tipicamente 'lineare-orizzontale' della dissonanza in Marenzio rispetto a quello 'verticale' di Monteverdi, il che spiega perché nella famosa lettera di Banchieri ad Artusi il musicista bolognese, senza tema di essere smentito, potesse indicarlo come modello di perfezione stilistica in senso 'moderno'.


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Myriam Quaquero

Nicolò Oneto. Un maestro di cappella siciliano nell'Ottocento musicale in Sardegna

Il modello storiografico che considerava le vicende musicali del nostro Paese come episodi di una cultura unitaria è entrato in crisi ormai da tempo e oggi gli studiosi possono guardare a realtà tradizionalmente considerate periferiche come a situazioniben più multiformi, dove sono coesistiti contesti e motivi differenti. In questo rinnovato quadro culturale è importante mettere in luce il patrimonio musicale di un'isola come la Sardegna, ancora in gran parte inedito. Una delle figure che merita un'indagine accurata è quella di Nicolò Oneto (1800-1872), nato a Palermo, formato a Napoli con Zingarelli e Bellini, fuoriuscito dal Regno delle Due Sicilie forse per le sue idee patriottiche. Giunto in Sardegna negli anni Trenta ricoprì l'incarico di maestro di cappella ad Alghero per poi stabilirsi definitivamente a Cagliari, dove svolse un'intensa attività musicale alla guida della Cappella Civica e dell'Orchestra del Teatro Civico.
La sua Memoria sulle cose musicali della Sardegna (Cagliari, Tipografia Monteverde, 1841) si configura come il primo tentativo organico di tracciare una storia della musica in Sardegna, sia colta che extracolta. Oneto, infatti, vi raccolse informazioni e dati storici, sottolineando l'importanza della tradizione musicale popolare e ribadendo l'urgenza di avviare nell'isola un'efficace programma di formazione musicale di base. Convinto dell'importanza della questione didattica, lo stesso Oneto istituì a Cagliari una scuola di musica gratuita, destinata a giovani di ogni estrazione sociale, presso la sua abitazione privata.
Oneto fu un autore apprezzato: oltre al melodramma eroico Amsicora, compose centinaia di brani musicali oggi in gran parte conservati manoscritti nel Fondo della Cappella Civica di Cagliari.


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Fabio Rapetta

La vocalità sopranile 'enciclopedica' nei melodrammi belliniani

Questa ricerca, partendo dalla constatazione che la letteratura musicologica, precedentemente elaborata sull'argomento, è spesso dominata da una prospettiva frammentaria e dall'aneddoto, si basa invece sulla sistematica considerazione e sul vaglio incrociato delle fonti, di cui sia possibile disporre (lettere, partiture autografe, riduzioni per canto e pianoforte, varianti tramandate, cronache, resoconti giornalistici, trattati di canto e di didattica del primo Ottocento). Si è analizzata, in secondo luogo, la prassi esecutiva belliniana, dall'epoca delle prime rappresentazioni, attraverso tutto il xix secolo (con particolare riferimenti ai decenni in cui i soprani iniziarono la fase di 'specializzazione'), per giungere fino alla metà del Novecento, gli anni di Maria Callas e del recupero della prassi, della tecnica e del gusto interpretativo belliniano.
Questo studio giunge alla caratterizzazione del soprano belliniano quale 'enciclopedico', per la molteplicità delle capacità tecniche, espressive ed attoriali richieste alle interpreti. Tali ruoli possiedono dei tratti simili nella scrittura vocale, quali alcune figurazioni ritmiche nelle parti vocalizzate e un certo uso degli abbellimenti strettamente legato a determinate situazioni drammaturgiche. L'indagine ha svelato scenari compositivi creatisi tra i vari artefici delle opere (compositore, librettista e interpreti) in precedenza non presi in considerazione, soprattutto nella stesura dei Puritani. La ricerca ha inoltre tentato di far riaffiorare i punti cardine della prassi esecutiva belliniana, in rapporto ai trattati di canto e alla didattica offerti dal primo Ottocento, offrendo così la possibilità di porre dei confronti tra le prime e le attuali interpretazioni, sottolineando le differenze, le novità e gli errori delle varie rappresentazioni.


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Francesco Rocco Rossi

Indagine sulle 'seconde versioni' del Ms Mod.D e su un possibile intervento revisionale di Johannes Martini

Il manoscritto MS Alpha M.1.13 della Biblioteca Estense e Universitaria di Modena (ModD), compilato a Ferrara nel 1481, attesta tre messe che, al confronto col resto della loro tradizione, appaiono quali 'seconde versioni'. Si tratta delle Missae Or sus or sus, Clemens et benigna e L'Homme Armè rispettivamente dello stesso Martini, di Caron e di Faugues e gli interventi evidenziati non si limitano alle varianti normalmente rilevabili all'interno della tradizione di una composizione ma investono la struttura formale complessiva della composizione aggiungendo interi submovimenti o modificando radicalmente l'ordine delle sezioni interne. Questa presenza di cospicue modifiche all'interno del medesimo codice ha indotto Lockwood (La Musica a Ferrara nel Rinascimento, trad. it., p. 295) ad assegnare ad ModD una forte carica innovativa ascrivibile all'attività revisionale di Johannes Martini che, a capo della cappella musicale estense e sovrintendente ai lavori di confezionamento di questo e altri manoscritti musicali, avrebbe apportato le modifiche alle tre messe. La mia analisi di segno opposto, invece, mostrerà come le lezioni estensi delle messe Or sus or sus (Martini) e Clemens et benigna (Caron) non siano seconde versioni, bensì semplicemente le lezioni corrette mentre sono gli altri testimoni ad attestare una versione incompleta e a tratti erronea. Per quanto attiene, invece la messa di Faugues si tratta senz'altro di una versione rinnovata ma attribuibile non a Martini bensì allo stesso autore che dopo averla fatta ricopiare con estrema fretta nel Ms 14 del fondo della Cappella Sistina della B.A.V. la revisionò modificandone la struttura formale complessiva. Per motivi di tempo potrò dimostrare solo quanto sopra prospettato per le messe di Martini e Caron, mentre mi dovrò limitare ad una succinta comunicazione in merito alla messa di Faugues. Questa analisi è nata dall'esigenza di stabilire chi fosse responsabile dei vistosi interventi di ModD proprio in fase di edizione critica della Missa L'Homme Armé di Faugues per la mia tesi di laurea. Una volta, poi, accertata l'estraneità di Johannes Martini alle varianti attestate nel codice estense è stato più agevole procedere alla dimostrazione dell'autorialità della seconda versione della messa di Faugues.


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Roberto Scoccimarro

L'Arcifanfano re dei matti di Goldoni-Galuppi: una sconosciuta fonte musicale

Un manoscritto anonimo contenente un'antologia di numeri chiusi tratti da un'opera comica, ritrovato in uno dei più ricchi archivi musicali italiani, ha mostrato elementi di innegabile omogeneità, quali il formato dei singoli fascicoli (privi di frontespizio) e la ricorrenza degli stessi personaggi. A questi dati si aggiunge una nota del copista Pietro Martelli, sulla base della quale si è resa possibile l'attribuzione: si tratta certamente dell'Arcifanfano re de' matti di Goldoni-Galuppi, dramma giocoso la cui prima fonte librettistica esistente testimonia le rappresentazioni veneziane del carnevale 1750.
Tra i numerosi libretti dell'opera – cavallo di battaglia del cantante Francesco Baglioni – quelli stampati a Bologna in occasione delle recite del 1754, a Venezia per il carnevale del 1755 e a Modena nell'estate dello stesso anno, mostrano una coincidenza pressoché totale dei numeri chiusi con quelli del manoscritto individuato. Il libretto di Modena reca l'indicazione «musica in maggior parte di Baldassarre Galuppi [...] e di altri celebri maestri». In assenza di altre fonti musicali conosciute, ciò equivale a dire che questo dramma comico ritrova in questo manoscritto (nel quale sono completamente assenti i recitativi) una quasi completa identità musicale. Avendo a disposizione gran parte dei libretti esistenti, il nostro studio, oltre all'intento dell'identificazione degli 'altri celebri maestri' e alla ricreazione dell'esatta successione dei brani (accostati fra loro senza un ordine apparente), si propone anche di approntare uno schema comparativo delle fonti poetiche; si accompagneranno inoltre considerazioni sui cambiamenti drammaturgici conseguenti alle modificazioni testuali legate alle diverse messe in scena.
Il libretto stampato per le rappresentazioni di Lisbona, per esempio, musicato non più da Galuppi ma da Giuseppe Scolari, si allontana di molto dall'originale del 1750, ma anche non poco dai testi redatti alla metà degli anni '50. Un ulteriore obiettivo consisterà infine in brevi cenni d'analisi delle arie e degli ensembles, nell'intento – quando essi siano sicuramente attribuibili a Galuppi - di metterne forme e risultati in rapporto alla produzione operistica comica del compositore finora conosciuta.


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Luigi Sisto

Aspetti della musica strumentale da camera di Nicola D'Arienzo

Nell'ambito di un più generale ed articolato dibattito tra 'accademismo' e 'tendenze progressiste', maturato nella Napoli della fine del secolo xix, non solo in ambito strettamente musicale ma anche nel campo delle arti figurative, delle scienze, e della cultura in generale, emergono figure poliedriche di musicisti; caso emblematico è quello di Nicola D'Arienzo (Napoli, 1842-1915), a pieno titolo tra i protagonisti della cultura musicale partenopea del secondo Ottocento. Musicologo ante-litteram, teorico, compositore di melodrammi, di musica sinfonica e da camera, didatta, titolare delle cattedre di Armonia, Contrappunto, Storia della Musica al Regio Conservatorio di San Pietro a Majella (tra i suoi allievi ebbe musicisti come Leoncavallo, Camillo De Nardis, Nicolò Van Westerouth, Antonio Savasta).
Il presente studio si propone un'indagine di alcuni aspetti della musica strumentale da camera con particolare riferimento alla produzione per quartetto d'archi del D'Arienzo. Della stessa, nata anche grazie all'attività promotrice delle società concertistiche, sono state evidenziate le peculiarità ed i sostanziali elementi di novità (teorizzati peraltro dal compositore nel saggio L'introduzione del sistema tetracordale nella musica moderna, pubblicato da F. Lucca nel 1878 a Milano) e prodotta la comparazione con alcuni aspetti della produzione cameristica dello stesso autore (tra queste opere il Concerto per viola e pianoforte, una Konzertstük, la cui prima edizione moderna, in corso di stampa, è a cura dello scrivente).
Il confronto con aspetti compositivi dei melodrammi La figlia del diavolo e Lesbo di Rodio ha garantito, inoltre, la possibilità di una più ampia contestualizzazione della stessa all'interno del panorama musicale partenopeo del tempo. È stata condotta, infine, la compilazione del catalogo completo dell'opera di D'Arienzo, collocata in appendice (con indicazioni relative alla più recente schedatura) donata quasi interamente nel 1921 dalla vedova Carolina De Monte alla biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella.


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Luca Sorge

Carlo Pozzi, editore musicale dell'Ottocento

A partire dagli anni '30 del xix secolo e per oltre due decenni, la casa editrice milanese di Giovanni Ricordi ebbe una succursale in territorio svizzero, a Mendrisio nel Canton Ticino, gestita dal genero Carlo Pozzi. Questi, infatti, iniziò a lavorare, alla fine degli anni '20, presso il negozio fiorentino di Ricordi per poi intraprendere l'attività editoriale nella sua regione natale, il Canton Ticino.
Pozzi oltre all'attività di rappresentante della casa Ricordi in Svizzera, si dedicò anche alla stampa di edizioni musicali con propri numeri di lastra; edizioni che venivano, di volta in volta, inserite nei libroni di casa Ricordi come edizioni di 'Fondo Estero'. La ricerca che si intende presentare ha come scopo quello di ricostruire l'attività editoriale di Carlo Pozzi, creando un catalogo numerico delle edizioni musicali da lui pubblicate. Tutto ciò è reso piuttosto difficile dalla quasi totale mancanza di documenti riguardanti i rapporti, sia commerciali che personali, tra Pozzi e il suocero Giovanni Ricordi. La ricostruzione del catologo editoriale dell'editore Pozzi è complicata, inoltre, dal fatto che la maggior parte delle edizioni pubblicate a Mendrisio non sono state ancora catalogate e non sono quindi reperibili, se non nei libroni di casa Ricordi. La mancanza di un'attività pubblicitaria, da parte di Pozzi, delle sue edizioni musicali fa, inoltre, supporre che Ricordi si servisse della sede di Mendrisio per pubblicare edizioni non soggette alle leggi del Lombardo-Veneto. La sede di Mendrisio servì, inoltre, da rifugio a due amici di Ricordi, il compositore Emanuele Muzio, che vi lavorò come riduttore di opere per canto e pianoforte, e l'editore torinese Augusto Giudici. Attraverso lo studio di questi due personaggi del panorama musicale italiano ottocentesco, si può cercare di trovare nuove informazioni sull'attività della calcografia svizzera di Pozzi. La ricerca mira, infine, a stabilire quali furono le vere motivazioni che spinsero Giovanni Ricordi a trasferire parte della sua attività editoriale nel Canton Ticino e quale era l'effettiva destinazione delle edizioni pubblicate a Mendrisio da Carlo Pozzi.


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Gian Giacomo Stiffoni

Nuove notizie sulla attività nel teatro de Los Caños del Peral della compagnia d'opera italiana dei teatri dei Reales Sitos nel 1776

Con l'arrivo al trono di Carlo iii in Spagna nel 1759 il ruolo dell'opera italiana nella corte di Madrid diminuisce radicalmente. Il teatro del Buen Retiro, sede privilegiata durante la monarchia di Fernando vi (1747-1758) per la rappresentazione di Drammi per musica sotto la direzione di Farinelli, si convertirà, infatti, in un teatro dedicato esclusivamente alla prosa. L'opera ritornerà a corte solo durante un breve periodo, dal 1767 al 1771, grazie all'iniziativa del conte di Aranda che favorirà l'arrivo di alcune compagnie itineranti d'opera d'origine italiana, destinate a mettere in scena alcune opere – soprattutto Drammi giocosi – nei teatri dei palazzi de Los Reales Sitios, in particolare per quelli di Aranjuez, S. Idelfonso e El Escorial.
Nel 1776, dopo cinque anni d'inattività, una nuova compagnia, diretta dal noto baritono Francesco Benucci e altri tre cantanti (Geronimo Borsello, Carlo e Lugi Zanini), stipula un accordo con il Regidor Perpetuo e commissario di commedie di Madrid per la rappresentazione d'alcune opere e balli presso il teatro pubblico de Los Caños del Peral di Madrid.
Grazie ad uno studio intrapreso da alcuni anni sull'opera italiana in Spagna durante i regni regno di Carlo iii e Fernando iv (in relazione al progetto di ricerca sulla musica di corte nella Spagna del xvii e xviii secolo diretto dal prof. Juan José Carreras, a cui si affianca il mio lavoro di tesi dottorale sul compositore napoletano Nicola Conforto), sono giunto al ritrovamento della scrittura notarile relativa alla formazione di tale compagnia; scrittura che permette di conoscere in dettaglio aspetti riguardanti la sua composizione (cantanti, ballerini, maestro di cappella) e le sue caratteristiche organizzative.
L'analisi del documento, che sarà oggetto del mio intervento, fornisce finalmente nuovi importanti dati circa le caratteristiche generali delle compagnie che lavorarono nei Reales Sitios e della loro relazione con in teatri pubblici di Madrid, di cui fino ad ora si sapeva qualcosa solo grazie a pochi documenti, alcuni libretti conservati e il lavoro assai datato del musicologo Antoni Cotarelo y Mori (Orígenes y establecimiento de la ópera en España hasta 1800, Madrid: Tipografía de la Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, 1917). Inoltre, la sua conoscenza ci permette gettare nuova luce sull'opera italiana in Spagna nel secondo Settecento, ancora oggi poco conosciuta.


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Jutta Toelle

Un uragano improvviso se non del tutto inaspettato - il fallimento di Arturo Morini a Venezia e la posizione degli impresari lirici nel tardo Ottocento

Il 14 febbraio dell'anno 1877 una lettera raggiunse la società proprietaria del Teatro la Fenice, nella quale l'impresario Arturo Morini dichiarava «di non poter, senza ulteriore sussidio», continuare nei suoi impegni. Erano trascorse 24 recite ed erano state pagate al Morini tre rate della dotazione e anticipi sulla quarta. Morini aveva intascato gli introiti dell'ultimo veglione del carnevale ed era fuggito da Venezia.
L'affare Morini (come veniva chiamato più tardi nei documenti della Fenice e nei giornali teatrali nazionali ed internazionali) è un esempio molto tipico e affascinante per la posizione degli impresari nel tardo Ottocento. Soffrivano di più la crisi amministrativa e istituzionale - a parte di quella creativa - che veniva affermandosi nell'Italia unita.
Da quanto lo stato aveva ceduto i teatri ai comuni nel 1868, era il loro dovere contribuire ai spettacoli nei teatri locali - e Venezia, nel 1872, era il primo comune vantandosi di un teatro primario che decise di sopprimere le sovvenzioni al suo teatro massimo. Però, le esigenze del pubblico veneziano e dei palchettisti della Fenice rimanevano alti, troppo alti per le risorse del teatro. Continuavano di richiedere nuove (e costose) opere di grandi maestri, cantanti di cartello e messe in scena sfarzose, contemporaneamente alle domande di ribassamento del prezzo d'ingresso.
La stagione 1876/77 come tante altre aveva cominciato male. Insufficienza di cantanti costringeva il Morini a provvedere alla loro sostituzione ed anche lo spettacolo di Santo Stefano cadeva a causa di un soprano («ha perduto il tempo e smarrita l'intonazione provocando manifesti segni da parte del pubblico e di disapprovazione e d'ilarità in grado tale da non permettersi la continuazione delle recite con detta artista»). Si tenne chiuso il teatro per un paio di giorni e si ricominciò con altri artisti. Gli introiti dalla 10. alla 25. recita raggiungero addirittura un livello abbastanza alto per la decade, cosicché dopo la fuga di Morini si sospettava malafede da parte sua. Tutto il trascorso della stagione fino al fallimento dichiarato poteva sembrare progettato da lui dal principio alla fine. Si rilasciò un mandato di cattura e si tentò anche di citare l'impresario in giudizio ma essendo lui fuggito senza lasciar traccia non si conchiuse niente. Alla fine il deposito rimanente veniva pagato alle masse corali ed orchestrali, gli artisti abbandonavano Venezia e la società proprietaria decise di chiudere il teatro per un anno (tranne qualche recita straordinaria), sperando «sia questa per Venezia la prima e l'ultima volta che si debba deplorare scandalo sì grave».
In confronto ad altri teatri italiani, il Teatro la Fenice languiva per lungo tempo, e l'affare Morini era soltanto il fenomeno più grave di quella agonia. Però, in tutto il paese, si registravano impresari fuggiti, teatri chiusi e sovvenzioni soppresse a causa della crisi dell'industria lirica.


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Marina Toffetti

Di nuovo sulla controversia attorno alla nomina di Carlo Donato Cossoni al posto di maestro di cappella del Duomo di Milano (1684–5): il retroscena diplomatico visto dalla parte degli spagnoli

Il 5 dicembre 1684 il canonico gravedonese Carlo Donato Cossoni, dotato di potenti appoggi, fu eletto maestro di cappella del Duomo di Milano in seguito a un concorso assai contestato. Musicista di fama e autore di numerose raccolte a stampa, il Cossoni s'era anche distinto per le sue malefatte ed era stato più volte processato dai tribunali ecclesiastici, rendendosi inviso all'arcivescovo di Milano Federico Visconti.
Assunta la carica di lì a poco nonostante il parere arcivescovile, il Cossoni fu catturato sulla pubblica piazza e imprigionato per ordine dell'arcivescovo, che lo fece trattenere in carcere per un paio di giorni, per poi esiliarlo al suo rilascio dall'intera diocesi milanese. Il Capitolo del Duomo, ritenendosi leso nelle sue prerogative di autonomia, fece appello alle autorità spagnole proclamandosi soggetto alla giurisdizione civile sin dalla sua fondazione e reclamando protezione di contro alle ingerenze dell'arcivescovo. Ne nacque una controversia che si protrasse per più di un anno, portando la vicenda all'attenzione di papa Innocenzo xi Odescalchi a Roma e di Carlo ii re di Spagna a Madrid.
Nota agli storici e ai musicologi, la vicenda è stata sinora illuminata soprattutto dal punto di vista del Capitolo del Duomo (prevalentemente sulla scorta della documentazione conservata presso l'Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo) e da quello dell'Arcivescovo Visconti (indagato sulla scorta di acune lettere conservate presso l'Archivio Segreto Vaticano e l'Archivio Taverna). Ulteriori documenti conservati presso l'Archivo Géneral di Simancas e presso l'Archivio di Stato di Milano consentono di illuminare il retroscena della vertenza in una delle sue fasi cruciali (l'estate del 1685) dal punto di vista degli Spagnoli, chiamati in causa da entrambi i contendenti e artefici di una delicatissima trama diplomatica tesa a riconciliare le parti per vie il più possibile amichevoli e a riportare la controversia, già sconfinata in un pericoloso conflitto giurisdizionale, entro i confini locali da cui era scaturita.


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Takashi Yamada

L'impresa del Teatro Nuovo di Napoli negli anni 1770-71: il caso della 'famosa' e mai documentata rappresentazione de Le Trame per amore di Paisiello

L'attività dei teatri 'minori' di Napoli nella seconda metà del Settecento – come il Teatro de' Fiorentini e il Teatro Nuovo - orientati alla commedia per musica, è particolarmente importante negli anni Settanta per la produzione di opere comiche che si diffusero rapidamente in tutte le corti europee. La più recente storiografia teatrale, a causa della mancanza di documenti ufficiali sulla gestione dei teatri e di una cronologia attendibile per quel periodo, benché attenta alle dinamiche dello spettacolo a Napoli, ha mostrato sempre più l'esigenza di sondare le fonti per addivenire a un quadro esaustivo del fenomeno; ad acuire maggiormente questa esigenza è la mancanza di numerosi libretti di quel decennio, che rende incompleto il panorama offerto dal Sartori.
La ricerca che si intende presentare consiste nella ricostruzione dell'organizzazione teatrale del Teatro Nuovo di Napoli nella stagione teatrale 1770-71 a partire dai conti bancari e dalle cedole del suo impresario Gennaro Blanchi (attivo tra il 1765 circa e almeno fino al 1776), custoditi presso l'Archivio Storico del Banco di Napoli. Riguardo a Blanchi, basterà dire che il suo ruolo fu di autentico protagonista della nuova forma della commedia musicale, che egli portò alla corte di Napoli con L'Idolo cinese (1767), Il Tamburo (1773), Socrate immaginaria (1775) di Giovanni Paisiello e Gianbattista Lorenzi.
Sarà presentato un caso specifico, Le Trame per amore di Francesco Cerlone e Paisiello, per il quale è stato possibile rintracciare i nomi dei cantanti e dei musicisti che la interpretarono, i loro salari, l'affitto del teatro e perfino i prezzi dei biglietti annuali, che corrispondono a quelli menzionati da Charles Burney nel suo The Present State of Music in France and Italy (Londra 1771): non essendo sopravvissuto il libretto, finora si conosceva soltanto questa testimonianza inglese su quella produzione. Per concludere, possiamo documentare la differenza della condizione sociale tra coloro che lavoravano al S. Carlo e i musicisti dei 'teatrini' nel periodo in cui la commedia per musica napoletana inizia ad assurgere ai massimi livelli di internazionalità, (lo stesso Burney osservò che «The singing was but indifferent: not one good voice among them»).