Con il contributo di:
Provincia di Pescara
Comune di Pescara
CariChieti
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti
Istituto Nazionale Tostiano di Ortona

Si ringraziano per la collaborazione:
Università degli Studi “Gabriele d'Annunzio” di Chieti e Pescara
Conservatorio di Musica “Luisa D'Annunzio” di Pescara
Fabbrini Pianoforti, Pescara
Città Vini, Ortona
Enoteca Regionale d'Abruzzo

 

Chieti e Pescara, Università degli Studi “Gabriele D'Annunzio” - Pescara, Conservatorio di Musica “Luisa D'Annunzio”

26-28 ottobre 2007

Dépliant

Locandina

Programma, abstract e resoconto

Conservatorio di Musica “Luisa D'Annunzio” di Pescara
viale Muzii Leopoldo, 7

Venerdì 26 ottobre 2007, ore 9.30

Sala Bellisario, presiede Teresa M. Gialdroni

  • Sarah M. Iacono, Il Pirro e Demetrio: fonti note e sconosciute tra Napoli e il Nord Europa. Abstract.
  • Christine Siegert, Relazioni intertestuali ne La finta giardiniera. Abstract.
  • Carmela Bongiovanni, Ancora sugli oratori di Luigi Boccherini: osservazioni sulle fonti musicali superstiti. Abstract.
  • Takashi Yamada, Il sistema di produzione del recitativo nella seconda metà del Settecento a Napoli: il caso di Giuseppe Benevento (floruit 1766-1797). Abstract.
  • Elisabetta Cagni, La didattica del violoncello nel XIX secolo. Il Metodo di Bernhard Romberg. Abstract.

Sala Rosolino, presiede Roberto Giuliani

  • Kevin Karnes, Max Klinger, Johannes Brahms, and the Challenge of the Gesamtkunstwerk: Revisiting Klinger's Brahms-Phantasie (1894). Abstract.
  • Vitale Fano, «Lasciar la musica nuda». Tracce di un rapporto fra Gabriele d'Annunzio e Guido Alberto Fano nei primi anni del Novecento. Abstract.
  • Beatrice Birardi, Musiche composte per i documentari d'epoca fascista. Abstract.
  • Alice Meregaglia, Un inedito di Malipiero: Ricercar toccando (1959). Abstract.
  • Irna Priore, The Darmstadt Influence in Luciano Berio's Serial Works. Abstract.

 

Venerdì 26 ottobre 2007, ore 15.30

Sala Bellisario, presiede Mario Baroni

  • Vasilis Kallis, Non-diatonic modality as an agent of modified tonality in Ravel's jeux d'eau. Abstract.
  • Marco Moiraghi, Hindemith 1919-1924: definizione di uno stile. Abstract.
  • Davide Ceriani, Two masses are singing: la musica di Charles Ives e gli outdoor religious meetings del New England fra il tardo diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo. Abstract.
  • Andrea Del Castello, Testo, musica, immagine. Riflessioni su temi e figure di The wall dei Pink Floyd. Abstract.
  • Christian Storch, Alfred Schnittke's Early Works. The Symphony No 0, the Violin Concerto No 1 and Nagasaki. Abstract.

Sala Rosolino, presiede Francesca Seller

  • Elena Bugini, La presunta divagazione di un maestro di tarsia sul versante liutario: la lira da braccio supposta di Giovanni d'Andrea (Verona, 1512) al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Abstract.
  • Giovanni Paolo Di Stefano, Liutai, violari, chitarrari e cembalari a Palermo nei secoli XVI-XVIII. Abstract.
  • Luigi Sisto, Aspetti sociali e sistema produttivo liutario a Napoli tra Cinque e Seicento. La Confraternita di Santa Maria dell'Anima dei Tedeschi: storia, vita sociale, attività corporativa (1586 – 1717). Abstract.
  • Paola Carlomagno, I costruttori milanesi di strumenti musicali nella “Guida commerciale Savallo”. Abstract.
  • Paolo Mechelli, Nicola Tacchinardi: tenore, figurinista, 'metteur en scène'. Abstract.
  • Antonio Caroccia, “Sono ormai diventato il maestro dell'articolo quattro”: Camillo De Nardis fra tradizione e futuro. Abstract.

 

Venerdì 26 ottobre 2007, ore 19.30, Museo di Arte Moderna

Il Comune e la Provincia di Pescara invitano i convegnisti al Museo di Arte Moderna per un ricordo di Ildebrando Pizzetti, cittadino onorario della Città.

 

Università degli Studi “Gabriele D'Annunzio” di Chieti e Pescara
Sede di Chieti

Campus universitario, Via dei Vestini 31

Sabato 27 ottobre 2007, ore 9.30

Aula Magna del Rettorato, presiede Agostino Ziino

  • Lois Musmann, Structure and Centonization in the Fleury Playbook. Abstract.
  • Luigi Collarile - Daniele Maira, Il supplemento musicale agli Amours di Pierre de Ronsard (1552-1553): nuove acquisizioni sul contesto editoriale. Abstract.
  • Edite Rocha, Comparative warnings interpretation in the works of Manuel Rodrigues Coelho and Thomas de Sancta Maria. Abstract.
  • Mariacarla De Giorgi, Alipio e la ricezione della teoria notazionale greca nella cultura musicale del Rinascimento. Abstract.
  • Alberto Mammarella, La Frottola sacra napoletana nel primo Seicento: nuove acquisizioni. Abstract.
  • Peter S. Poulos, Intertextuality and Design in the Madrigali a cinque voci of Simone Molinaro. Abstract.

Aula Magna della Facoltà di Lettere, presiede Licia Sirch

  • Pinuccia Carrer, Maria Teresa Agnesi e le altre: presenze femminili nel fondo Noseda della biblioteca del Conservatorio di Milano. Abstract.
    con un contributo di Francesca Rivabene, Elena Viscontini, compositrice e allieva
  • Matteo Mainardi, La collezione di libretti della Società Storica Lombarda. Addenda al Catalogo Sartori e nuove considerazioni sulle collezioni private nobiliari milanesi. Abstract.
  • Gianfranco Miscia, Caratteristiche e problematiche di un archivio di musica. L'inventario del fondo Francesco Paolo Tosti dell'Istituto Nazionale Tostiano di Ortona. Abstract.
  • Elsa De Luca - Valentina Marangi, Il sito web, i materiali e gli strumenti di consultazione del Progetto RAPHAEL – Rhytmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant: computerized census and integral restoration of a neglected musical repertoire [RAPHAEL project]. Abstract.
  • Marcello Conati, Le Melodie popolari del “fondo Righi” presso la Biblioteca Comunale di Verona. Abstract.
  • Teresa Camellini, Identità vocale e musica di tradizione orale. Un itinerario di riflessioni e proposte. Abstract.

 

Sabato 27 ottobre 2007

Aula Magna del Rettorato

ore 15.30: Assemblea annuale dei soci della SIdM

ore 17.00: La situazione degli insegnamenti musicologici nelle Università e nei Conservatori

    Tavola rotonda a cura di Teresa Chirico e Guido Salvetti

 

Sabato 27 ottobre 2007, ore 21.00

Istituto Nazionale Tostiano di Ortona
Palazzo Corvo


Ensemble Accademia degli Orfei

      musiche di Matteo Capranica e Domenico Scarlatti


Realizzato con il sostegno della Fondazione CariChieti

Conservatorio di Musica “Luisa D'Annunzio” di Pescara

Domenica 28 ottobre 2007, ore 9.30
viale Muzii Leopoldo, 7

Sala Bellisario, presiede Giancarlo Rostirolla

  • Valentina Liberatore, Un'inedita «favola cantata» nella Roma del primo Seicento. Abstract.
  • Silvia De Maria, Le dodici cantate di Rosanna Scalfi nel manoscritto A.MS.3819 dell'accademia di Santa Cecilia. Abstract.
  • Cristina Fernandes, La fortuna del Coro dos Italianos della Cappella Reale e della Patriarcale di Lisbona nel secondo Settecento. Abstract.
  • Roberto Pagano, Il “Gravicembalo”, destinatario privilegiato delle Sonate di Domenico Scarlatti. Abstract.
  • Giusy De Berardinis, Nuove acquisizioni sulla vita e le opere di Ferdinando Turrini. Abstract.
  • Elisabetta Piras, Testi letterari e musica nel primo periodo compositivo di Giacinto Scelsi. Abstract.

Sala Rosolino, presiede Giorgio Sanguinetti

  • Silvio J. dos Santos, Constructing Identity: The Case of Alwa in Alban Berg's Opera Lulu. Abstract.
  • Valeria Lucrezia Andriani, Ernst Krenek: Jonny spielt auf e la musica europea del XX secolo. Abstract.
  • Marco Targa, Cromatismo ed esatonalità: stilemi armonici e aspetti drammaturgici nell'opera di Giacomo Puccini. Abstract.


    Tavola rotonda: La ricerca musicologica in Abruzzo: progetti e attività, a cura di Marco Della Sciucca e Anna Maria Ioannoni Fiore.

    Moderatore Paologiovanni Maione.

    Interventi di:
    Marco Della Sciucca (Associazione Musicale “Cesare Tudino” di Atri)
    Carlo Di Silvestre (Centro Etnomusicologico d'Abruzzo)
    Gianfranco Miscia (Centro di Documentazione e Ricerche Musicali “Francesco Masciangelo” di Lanciano)
    Francesco Sanvitale (Istituto Nazionale Tostiano di Ortona)
    Francesco Zimei (Istituto Abruzzese di Storia Musicale)

 

Comitato Convegni SIdM: Paologiovanni Maione (responsabile), Teresa M. Gialdroni, Francesca Seller, Agostino Ziino

 


Abstract

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Valeria Lucrezia Andriani

Ernst Křenek: Jonny spielt auf e la musica europea del XX secolo

Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, una serie di cambiamenti destruttura e ristruttura l'universo culturale europeo. Il telefono, la radiotelegrafia, il cinema, l'automobile, l'aeroplano posero i fondamenti per un orientamento nuovo nel modo di esperire il tempo e lo spazio. L'estensione dello “spazio vissuto” da una dimensione sensibile a una dimensione assai più ampia porta significativi cambiamenti nella costruzione del senso e nella produzione culturale in generale e artistica in particolare. Il cubismo, il futurismo, il romanzo “del flusso di coscienza” non sono espressioni prive di ragione, ma costituiscono un significativo epifenomeno di cambiamenti assai più profondi nella società occidentale. Politica, arte, filosofia, cultura: tutto muta nel corso del XX secolo ed Ernst Křenek può rappresentare la sintesi di questo novum che si affaccia in Europa e in America.

Prima di parlare di Ernst Křenek va sollevata a giusto merito una domanda: quanto europea fosse la musica del ventesimo secolo? Fino al diciottesimo secolo lo scambio musicale all'interno dell'Europa avveniva senza problemi, la nuova musica dall'Italia si espandeva per l'appunto nell'arco di un breve periodo su tutto il Continente, così come i musicisti boemi cercavano la loro fortuna nelle regioni più diverse. Ernst Křenek, boemo, era nato a Vienna, ma la sua vita sin dal principio si concentrò completamente nei luoghi di lingua tedesca. Vienna e Berlino furono le città più importanti della sua vita fino a che nel 1937 per motivi politici dovette esiliare negli Stati Uniti. Oltrepassò i confini con la sua musica, la sua opera Jonny spielt auf ebbe un successo mondiale in tutto il mondo dalla sua prima esecuzione nel 1927 a Lipsia. Influssi del jazz contrastavano con il linguaggio musicale tardo-romantico e formavano pertanto un delizioso contrasto che incontrò lo stato d'animo degli Anni Venti in Europa. Certamente perché risoluto oppositore del Nazionalsocialismo, a Křenek fu privata a partire dal 1933 ogni possibilità di rappresentare le sue musiche, tanto che una sistemazione nella vita musicale gli fu resa impossibile. Solo dopo il secondo conflitto mondiale tornò spesso in visita in Europa, gli fu fatto molto onore, ma musicalmente fu ricevuto soprattutto nei circoli d'avanguardia. Dopo lo strepitoso successo ottenuto con la premiere di Jonny spielt auf, l'opera non ricevette mai la dovuta attenzione. Solo dopo la sua “prima” rappresentazione nella Germania libera dell'ottobre 1989 Křenek e il suo Jonny sono stati riportati in auge.

Ma quale fu il rapporto e la ricezione di Křenek e di Jonny spielt auf in Italia? Inesistenti gli studi e monografie a tal riguardo. Ecco il perchè delle mie ricerche, che hanno portato alla pubblicazione della prima monografia in lingua italiana su Ernst Křenek e in assoluto sull'opera Jonny spielt auf.


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Beatrice Birardi

Musiche composte per i documentari d'epoca fascista

Durante il Ventennio fascista la cinematografia documentaria diviene un potente strumento propagandistico nelle mani del regime, assumendo un ruolo fondamentale nella diffusione non solo di un'ideologia, ma di un vero e proprio 'stile di vita' fascista.

Fino al 1931 i documentari sono muti. Con l'avvento del sonoro l'interesse nei confronti dell'elemento musicale acquista un'importanza sempre crescente (grazie anche al dibattito sul rapporto cinema e musica avviato in quegli anni sulla «Rassegna musicale»), tanto che accanto a colonne sonore costituite da brani di repertorio si cominciano a realizzare musiche originali, realizzate appositamente da compositori più o meno noti, tra i quali Giorgio Federico Ghedini, Raffaele Gervasio ed Enzo Masetti.

La presente ricerca indaga questo specifico repertorio musicale, ponendosi come contributo per uno sguardo generale del fenomeno e per l'approfondimento di alcuni suoi aspetti. La funzione dell'elemento musicale nei documentari fascisti risulta essere di fondamentale importanza: il sonoro musicale viene utilizzato in un rapporto di costante metonimia rispetto all'immagine, ne vengono sfruttate le capacità semantiche, in modo tale da amplificare il senso del mostrato e spingerlo al di là del suo riferimento immediato; non di rado immagini spesso banali o riciclate acquistano nuovo significato e, quindi, un nuovo potere di persuasione. Lo studio di questo particolare repertorio è affrontato tenendo conto delle funzioni che i documentari erano chiamati a svolgere: encomiastica, didattica, narrativa, etc.; funzioni che coinvolgevano inevitabilmente la realizzazione della colonna sonora.

La ricerca prende avvio dal reperimento e dalla schedatura dei documenti audiovisivi di interesse individuati nell'archivio storico dell'Istituto LUCE e negli archivi storici di alcune fra le maggiori industrie operanti all'epoca (Fiat, Dalmine, Ansaldo ed altre). Parallelamente si sta conducendo lo studio delle fonti cartacee consistenti nelle partiture, nelle riviste cinematografiche dell'epoca e in tutti quei documenti utili ad approfondire gli aspetti legati alla genesi e alla ricezione di tale repertorio. Partendo dalle fonti si definiscono i caratteri peculiari di tali musiche e vengono affrontate le questioni legate alla funzione dei compositori, nel loro approccio con un genere documentario dalle precise caratteristiche e nei loro rapporti col regime.


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Carmela Bongiovanni

Ancora sugli oratori di Luigi Boccherini: osservazioni sulle fonti musicali superstiti

Nonostante l'esistenza da quasi quarant'anni di un importantissimo strumento bibliografico quale il catalogo di Yves Gérard, lascia stupiti constatare come – per un indiscusso protagonista del secondo Settecento europeo nel campo della musica quale fu il lucchese Luigi Boccherini – a tutt'oggi gli studi sulle fonti musicali siano ancora in una fase solo introduttiva. Mancano rilievi scientifici su moltissime fonti musicali (non solo gli autografi – o presunti tali – contemporanei o posteriori alla composizione, ma anche le numerosissime copie manoscritte coeve) per la ricostruzione non solo della loro provenienza, ma anche della loro corretta scansione cronologica e contestualizzazione storica.

Per quanto concerne i due oratori Gioas (G. 537) e Il Giuseppe riconosciuto (G. 538), certamente le due fonti manoscritte degli oratori di Boccherini conservate in I-Gl sono di origine genovese: ciò si rileva non solo da quanto appare sul frontespizio di entrambi, ma anche dalla loro filigrana. I manoscritti furono vergati in un arco di tempo compreso nella settima decade del '700 'per' i padri dell'Oratorio di S. Filippo Neri di Genova, come indicato sugli ormai famosi frontespizi. Ogni elemento paratestuale indica con chiarezza che i due manoscritti furono approntati per una esecuzione genovese degli oratori boccheriniani.

Dall'evidenza dei libretti rimastici e relativi alle esecuzioni nella chiesa e oratorio di San Filippo Neri di Genova, risulta come tra il 1753 e il 1774 sia reperibile un solo libretto di oratorio eseguito presso i padri filippini di Genova. Eppure sappiamo da altra documentazione che proprio in questo arco di tempo l'attività musicale presso i Filippini dovette essere intensissima, in particolare per quanto riguarda proprio l'esecuzione di «oratori notturni in musica» (così come risulta dal registro di contabilità dei padri). Da ciò si evidenzia come la stragrande maggioranza dei libretti di oratori eseguiti presso i filippini genovesi e relativa al periodo indicato, sia al momento dispersa. La Chiesa e Oratorio di San Filippo Neri, oltre a condividere alcuni dei propri musici con la cappella musicale di Sant'Ambrogio di Genova, a quanto pare godeva di finanziatori consanguinei, in quanto appartenenti a due rami della stessa famiglia dei Pallavicini di Genova.


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Carlo Boschi

Neoplatonismo come “seconda pratica” ne L'Orfeo di Striggio jr. – Monteverdi

L'estetica monteverdiana, nella congerie culturale della corte Gonzaga, si permea progressivamente di elementi platonici. Non solo in termini di “auctoritas” referenziale, ma sul piano dell'epistemologia compositiva. In tale prospettiva, la “seconda pratica” si chiarisce come processo strutturale e non solamente tecnico.

L'ideazione e la composizione de L'Orfeo germinano proprio al culmine di questo nuovo atteggiamento “estetico”. Diventano veicolo di un linguaggio dove gli elementi della tradizione conoscono rivoluzionari “travestimenti” poetici e musicali. L'analisi di alcuni passi esemplificativi dell'opera consentirà di evidenziare i numerosi suggerimenti orfici e platonici presenti, non solo a livello espressivo, ma, più segretamente, compositivo.


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Elena Bugini

La presunta divagazione di un maestro di tarsia sul versante liutario: la lira da braccio supposta di Giovanni d'Andrea (Verona, 1512) al Kunsthistorisches Museum di Vienna

La relazione proposta si sostanzia delle principali acquisizioni della sezione centrale del dottorato di ricerca di chi scrive: intitolato Il significato della musica nell'opera intagliata ed intarsiata di fra' Giovanni da Verona e regolato da una convenzione di co-tutela tra l'Université “François Rabelais” di Tours e l'Università degli Studi di Torino, esso è stato discusso presso il Centre d'Études Supérieures de la Renaissance di Tours il 15 settembre 2007.

L'esposizione muove dal desiderio di porre chiarezza su un curioso equivoco creato dagli indici di un testo fondativo dell'iconografia musicale come Musical Instruments and their Symbolism in Western Art di Emanuel Winternitz (Londra 1967 e Londra-New Haven 1979): il caposcuola dell'intarsio rinascimentale fra' Giovanni da Verona non è Giovanni d'Andrea veronese, presunto autore della lira antropoide di provenienza Obizzi oggi presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna (C.94 SAM Inv.No.89).

Partendo da questa confutazione preliminare, l'indagine sviluppa diverse riflessioni inedite circa il singolare artefatto etichettato “Joanes. andreas veronen / 12 [...] / 1512”: l'etichetta dello strumento è quasi certamente un falso e non va escluso che si tratti di manifattura liutaria d'epoca anche di molto successiva al 1512 dichiarato; l'autentico valore di questa lira da braccio non risiede tanto nella sua antichità e nel suo essere unico reperto noto di un liutaio altrimenti sconosciuto, quanto piuttosto nel suo riflettere in modo formalmente mirabile una tendenza tipica dell'artigianato musicale (non strettamente rinascimentale: è l'umanizzazione della forma) e molti tratti della cultura della Rinascenza veneta (anche se non solo: l'evocazione dell'androgino platonico e la sensibilità al pensiero di Marsilio Ficino e di Erasmo da Rotterdam certo di molto travalicano l'area tra Verona e Padova in cui idealmente si pongono commessa e fabbricazione del prezioso strumento).

L'“androgino liriforme” di Vienna dà luogo anche ad una meditazione sulla persistenza rinascimentale di due miti di origine classica (l'indissolubile legame tra l'amore e la musica, e le virtù terapeutiche del suono) e a tre brevi digressioni: la prima consacrata al collezionismo musicale; la seconda e la terza dedicate – rispettivamente – alla declinazione “al maschile” (più rara) ed “al femminile” (quasi topica) dell'antropomorfismo di molti cordofoni, soprattutto rinascimentali.


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Elisabetta Cagni

La didattica del violoncello nel XIX secolo. Il Metodo di Bernhard Romberg

La ricerca analizza e traduce in lingua italiana la Violoncell Schule di Bernhard Romberg (1767-1841), scritta nel 1840 ed edita l'anno successivo, contestualizzandola all'interno del mondo culturale e musicale dell'epoca. Tra il 1790 e il 1815 la storia e la didattica del violoncello si svilupparono grazie ad alcuni pionieri dello strumento quali Baillot, i fratelli Duport, Boccherini, Dotzauer e Merk che, interessati a incrementare le possibilità del violoncello, cominciarono a scrivere per i nuovi conservatori di musica dei metodi didattici che portarono, intorno alla metà del XIX secolo, ad una uniformità tecnico-strumentale. È proprio in questo momento che si colloca il metodo di Romberg, padre della scuola violoncellistica di Dresda. Questo trattato può essere considerato uno dei più completi del suo tempo anche perché egli, grazie alla sua longevità e alla lunghissima carriera concertistica, ebbe modo di vivere in prima persona gli anni fondamentali dell'evoluzione del violoncello. La Violoncell Schule si divide in due parti distinte. La prima si occupa degli elementi essenziali per suonare il violoncello quali postura, presa dell'arco, il capotasto e una minuziosa spiegazione, accompagnata da una grande sezione di un violoncello e di tutte le sue parti, sulla montatura dello strumento. La seconda parte affronta argomenti più complessi come la scelta delle chiavi, questione codificata definitivamente da Romberg stesso, colpi d'arco, risoluzione degli abbellimenti ed elementi di prassi esecutiva ed estetica musicale.

L'importanza del metodo di Romberg, in Italia pressoché sconosciuto, consiste in una articolata struttura che, a differenza di altri manuali coevi, tocca approfonditamente tutti gli aspetti del violoncello, non solo quelli tecnicamente più complessi ma anche quelli riguardanti la liuteria, i giovani studenti e gli amatori. Il metodo, soprattutto nella parte conclusiva, dà ancora oggi un notevole contributo per l'esecuzione di brani del periodo classico (in particolare le Sonate di Beethoven con cui Romberg stesso ebbe occasione di collaborare), contribuendo alla giusta interpretazione dei tempi metronomici, delle dinamiche e del fraseggio. Grazie a questo lavoro, il violoncellista tedesco lascia un testamento che riporta la storia di un'epoca e la nascita di una nuova e definitiva concezione dello strumento che, partita cento anni prima con la pubblicazione nel 1741 della Méthode di Michel Corrette, primo a riconoscere la grandi possibilità esecutive del violoncello, è giunta fino a noi.


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Teresa Camellini

Identità vocale e musica di tradizione orale. Un itinerario di riflessioni e proposte

Le fonti sonore analizzate fanno riferimento a una ricerca effettuata dal 1969 al 1982 in Valpolicella e in Lessinia (VR) da Marcello Conati, e di recentissime registrazioni effettuate a Fumane (VR) di canti della tradizione, eseguiti dagli stessi portatori degli anni 1969-1982.

Premessa – Nella storia dell'umanità le tradizioni orali si presentano tuttora agli studiosi come mezzo indispensabile per la conservazione della nostra cultura, non solo per il fatto che le civiltà arcaiche si sono conservate grazie ad esse, ma anche perché nelle tradizioni orali è implicito un concetto storico che va oltre la sua essenza, ovvero diventa parte antropologica dell'esperienza storica dell'umanità stessa.

Argomento – Il mio intervento riguarda in modo particolare l'oralità della poesia cantata, e si propone di concepire il 'gesto orale' anche in termini non storici. Nella trasmissione orale sia il processo storico che quello antropologico sono coinvolti, venendo così a contrassegnare l'evoluzione del nostro comportamento linguistico e fonico, per cui la voce si costituisce anche come 'evento sonoro'. Il mio contributo si presenta, pertanto, come un insieme di ragionamenti intorno ai canti di tradizione orale con particolare riferimento al 'soggetto voce', ovvero a quei valori che l'identità vocale trasferisce come entità al patrimonio culturale musicale. Le argomentazioni sono tracciate tenendo presente riflessioni a carattere storico-sociologico e analitico-musicale, secondo il seguente ordine:

  • il ruolo sonoro-vocale del cantore
  • la vocalità del cantore
  • caratterizzazione dell'identità vocale
  • il personaggio voce
  • traccia analitica per la ricezione e l'ascolto di fonti sonore
  • il laboratorio degli esempi musicali
  • il teatro della voce nell'immediato
  • paesaggi sonori di un passato recente: partiture.

 


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Paola Carlomagno

I costruttori milanesi di strumenti musicali nella “Guida commerciale Savallo”

Nel 1877 venne pubblicata a cura di Gaetano Savallo una Guida amministrativa commerciale ed industriale della città di Milano rivolta espressamente, come recita la nota introduttiva, «a chiunque ha affari commerciali e amministrativi» in questa città. Si trattò di un primo tentativo da parte di Savallo di catalogare le attività e i prodotti commercializzati nel centro lombardo, ampliato e perfezionato qualche anno dopo con una più pratica Nuova Guida della città di Milano e sobborghi (1880-1868/69).

Rispetto alle preesistenti Guide commerciali, ancora in uso, quella di Savallo presentava alcune scelte innovative, sia per il reperimento e l'organizzazione dei contenuti sia per la veste grafica, che ne decretarono fin da subito il successo. Le novità del sistema redazionale adottato permettono di identificare in questa Nuova Guida l'antenato storico delle attuali Pagine Gialle e consentono, attraverso la consultazione delle categorie inerenti agli strumenti musicali, di ricostruire con dovizia di particolari la carriera commerciale di numerosi costruttori milanesi: inaugurazioni, ampliamenti, fusioni, cambi di indirizzo, passaggi societari, ma soprattutto specificità e specializzazioni costruttive, esclusive di vendita, cataloghi e pubblicizzazione di particolari brevetti sono puntualmente riportati e aggiornati quasi in tempo reale.

Considerata la varietà e la ricchezza dei contenuti si è pensato quindi non tanto di ricavare un mero registro cronologico dell'attività dei costruttori milanesi in essa riportati, quanto piuttosto di approntarne una lettura critica e mirata, che si auspica di poter fornire un quadro complessivo di tale commercio a cavallo del XIX e del XX secolo, dall'esordio della Nuova Guida (1880) fino agli inizi di una produzione quantitativamente importante di tipo industriale, avviata nel primo dopo guerra (1920).


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Antonio Caroccia

“Sono ormai diventato il maestro dell'articolo quattro”: Camillo De Nardis fra tradizione e futuro

Camillo De Nardis (1857-1951) è stato l'insegnante di due generazioni di musicisti; la sua profonda conoscenza tecnica e la sua versatilità furono dedicate alla formazione di menti inesperte in un periodo di radicale trasformazione dell'esperienza sonora e del gusto artistico. Egli ebbe la fortuna di essere contemporaneo di Mercadante e Debussy, di Verdi e Stravinskij, di Wagner e di Schönberg. De Nardis in qualità di insegnante seppe tenersi mirabilmente in equilibrio tra il passato che aveva compiuto il suo ciclo e l'avvenire che albeggiava tra luci contrastanti. Solo ora, grazie alla recentissima donazione, da parte degli eredi alla biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, di inediti documenti sulla vita e sulle opere del compositore abruzzese si aprono nuovi spiragli d'indagine sulla formazione, sul processo compositivo e sulla attività didattica dell'ultimo epigono della tradizione compositiva napoletana.

La ricerca, dunque, intende presentare i molteplici documenti di questa donazione, che possono essere genericamente così suddivisi: 1) lettere, biglietti e telegrammi, tra l'altro di Alfano, Capuana, Cilea, Giordano, Leoncavallo, Martucci, Massenet, Mugnone, Puccini, Rossi, Serrao, Tosti, Scontrino, ecc.; 2) fotografie; 3) giudizi della stampa sull'attività artistica e compositiva; 4) libretti manoscritti e composizioni autografe; 5) libretti e composizioni a stampa; 6) materiale commemorativo per il centenario della nascita.

Lo studio, inoltre, propone una lettura critica di questi materiali dai quali emerge un profondo interesse per l'arte sonora intesa non solo come esperienza artistica, ma anche come fenomeno scientifico e di costume tra la tradizione e il futuro.


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Pinuccia Carrer

Maria Teresa Agnesi e le altre: presenze femminili nel fondo Noseda della biblioteca del Conservatorio di Milano

con un contributo di Francesca Rivabene, Elena Viscontini, compositrice e allieva

Il progetto di ricerca è stato avviato nell'anno accademico 2006-07, nell'ambito del corso di storia ed estetica della musica per il biennio di clavicembalo, in collaborazione con le allieve Francesca Rivabene e Lidia Cremona. Partendo da Maria Teresa Agnesi (Milano, 1720-1795), presente nel Fondo Noseda con due importanti composizioni manoscritte, si è deciso di allargare la ricerca e di vedere quali e quante fossero le presenze femminili: compositrici, interpreti, dedicatarie, editrici...

Iniziando un sistematico controllo (in SBN, nell'Indice di De' Guarinoni, nelle schede “Staderini”, sulle musiche stesse) si è aperto un mondo. Un primo risultato è stato la scoperta di composizioni inedite, eseguite a marzo in concerto (cfr. il contributo di Rivabene su Elena Viscontini, compositrice e allieva). L'interesse musicale del lavoro ha dato l'idea di costituire un database ricercabile, elaborato in collaborazione con l'Ufficio Ricerca Fondi Musicali e in accordo con la biblioteca del Conservatorio, che consente di collegare i nomi fra loro e con i documenti, evidenziandone le relazioni. Per ora ci si è limitati al Fondo Noseda e al suo cospicuo numero di pezzi, l'intento è di incrementare questo – che ho denominato “pink-database” – con i dati relativi alle presenze femminili nella Biblioteca del Conservatorio.


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Davide Ceriani

Two masses are singing: la musica di Charles Ives e gli outdoor religious meetings del New England fra il tardo diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo

Il ruolo delle masse è sempre stato un elemento centrale nei brani e nei saggi letterari del compositore americano Charles Ives (1874-1954). Vari studiosi hanno analizzato questo fenomeno, concentrandosi soprattutto su due lavori: il brano Majority per voce e pianoforte, composto nei primi anni Venti e il saggio The Majority scritto intorno agli anni 1919-1920. Le due creazioni rispecchiano la visione populista che Ives aveva delle masse a quell'epoca. Tale concetto di massa, spesso identificato con il concetto di massa tipicamente ivesiano, divenne caratteristico nel compositore americano solo nei tempi immediatamente successivi al primo conflitto mondiale. Scopo della mia relazione è indagare le idee di Ives sul concetto di massa nel periodo precedente al 1917-1918 (gli anni della partecipazione americana alla Grande guerra), e come queste poterono influenzare la sua produzione musicale.

Ives rimase sempre affettivamente legato alle sue esperienze infantili e adolescenziali, in particolare ai ritrovi religiosi collettivi all'aperto che si tenevano nel New England ed ai quali lui ed i suoi familiari spesso partecipavano. Le masse religiose che intervenivano ai cosiddetti outdoor meetings ispirarono la sua musica negli anni compresi fra la fine dell'Ottocento e l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Esse rappresentavano un'idea di purezza e tradizione che gli sconvolgimenti economico-sociali della prima guerra mondiale alterarono sensibilmente. Mentre, dalla fine degli anni Dieci, Ives tentò di rendere più sistematico il suo pensiero in relazione alle masse (da qui il saggio The Majority), nel periodo precedente i suoi riferimenti ad esse sono rintracciabili principalmente attraverso i lavori musicali da lui composti. La mia indagine si fonda su tre pezzi che più di altri contengono significative connessioni con i ritrovi religiosi all'aperto quali lo String Quartet n. 1 e i due brani per voce e piano, The Camp Meeting e At the River.

I temi dello String Quartet n. 1 sono ricavati dagli inni che i fedeli intonavano durante le cerimonie religiose en plein air del New England. Lo stesso principio viene applicato al brano per voce e pianoforte The Camp Meeting dove il compositore tratta i primi due terzi del brano come una sorta di lunga introduzione, relegando le citazioni degli inni religiosi tradizionali alla parte finale del brano. Tali riferimenti musicali sarebbero stati sicuramente riconosciuti da coloro che prendevano parte ai riti religiosi all'aperto e costituivano un chiaro riferimento alle masse di fedeli praticanti a cui Ives si sentiva particolarmente legato. In At the River, invece, è espresso il rammarico del compositore nel prendere atto di come i ritrovi religiosi fossero cambiati negli anni rispetto a quando era fanciullo. In questo caso l'elemento centrale del pezzo non è riconducibile alle citazioni musicali ma è piuttosto da ricercare nel suo contenuto verbale. La reiterata questione retorica “Shall we gather at the river?” rivela un'amara ironia verso i nuovi outdoor meetings che erano nel frattempo divenuti sempre più semplici occasioni di ritrovo piuttosto che incontri a sfondo spirituale.


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Luigi Collarile – Daniele Maira

Il supplemento musicale agli Amours di Pierre de Ronsard (1552-1553): nuove acquisizioni sul contesto editoriale

Gli Amours di Pierre de Ronsard sono pubblicati per la prima volta nel 1552. Stampati a Parigi nell'officina della vedova di Maurice de La Porte, essi rappresentano la raccolta certamente più emblematica della nuova stagione letteraria che si apre all'insegna della Pléiade. Tra gli aspetti più innovativi di una raccolta poetica che guarda con grande attenzione al fenomeno letterario e culturale del petrarchismo italiano, vi è anche il modo in cui il volume è confezionato. Gli Amours appaiono con annesso un supplemento musicale contenente nove chansons, sulle quali poter intonare i testi poetici della raccolta. Quattro gli autori della musica: Clément Janequin, Pierre Certon, Claude Goudimel e Marc-Antoine Muret. È noto che del supplemento musicale esistano due diverse edizioni, entrambe finora attribuite all'officina parigina di Nicolas Du Chemin. Un attento riesame dei materiali bibliografici ha permesso però di ridefinire in maniera sostanziale il contesto in cui collocare il loro allestimento, a partire dall'identificazione di due diversi stampatori musicali.

Emerge così un quadro, nel quale riconsiderare complessivamente il rapporto tra le due edizioni del supplemento musicale e quelle della parte poetica, apparse rispettivamente nel 1552 e nel 1553, in grado di fornire diversi risvolti inediti sul contesto nel quale gli Amours di Ronsard e il suo supplemento musicale sono stati concepiti.


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Marcello Conati

Le Melodie popolari del “fondo Righi” presso la Biblioteca Comunale di Verona

L'avvocato Ettore Scipione Righi svolse nella seconda metà dell'Ottocento un'intensa attività di ricerca sul folklore veronese. I risultati delle sue indagini – canti popolari, fiabe, proverbi, usanze – sono conservati in un fondo intitolato a suo nome presso la Biblioteca Comunale di Verona. Tutto questo materiale (salvo un Saggio di canti popolari veronesi pubblicato da Righi nel 1863, una succinta raccolta curata da Cambiè nel 1981, e la recente pubblicazione di un primo volume di fiabe) è in massima parte inedito.

Ad esso materiale appartengono quattro fascicoletti di Melodie popolari di 16 pagine ciascuno, contenenti 122 trascrizioni musicali. Di esse, poco più di una ventina riguardano inni nazionali e canti patriottici, alcune melodie di area colta o melodie popolari di aree geografiche straniere Il rimanente, cioè oltre una novantina di testi musicali, riguarda canti popolari veronesi. Una lettera di un conoscente di Righi, relativa alla copiatura dei 4 fascicoletti, datata “Torino 12 febbraio 1873”, consente di stabilire il termine ante quem al 1872. Il termine post quem può essere fissato intorno al 1866, cioè a epoca immediatamente posteriore all'annessione del Veneto al regno d'Italia. La grafia rivela una mano sicura ed esperta che non corrisponde certamente a quella del Righi. Si tratta in ogni caso della più grande raccolta di musiche popolari ottocentesche dell'Italia settentrionale.

Il mio intervento intende illustrare i quattro fascicoletti di Melodie popolari, evidenziandone alcuni aspetti attraverso riscontri con altre raccolte di area veronese. L'intervento sarà integrato dalla visione di trascrizioni musicali e dall'ascolto di alcuni canti.


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Giusy De Berardinis

Nuove acquisizioni sulla vita e le opere di Ferdinando Turrini

Di Ferdinando Gasparo Turrini (Salò, 26 febbraio 1745 – Brescia, 11 gennaio 1829) la musicologia si è occupata finora marginalmente. La sua formazione musicale si compì a Venezia sotto la guida dello zio, il celebre Ferdinando Bertoni, al quale fu affidato in giovane età e del quale prese il cognome: fu infatti chiamato anche Bertoni o Bertoncino. Nel 1766 ottenne il posto di organista presso la Basilica di S. Giustina a Padova dove restò ininterrottamente almeno fino al 1797, malgrado fosse divenuto cieco dal 1773 per cause sconosciute. Nel 1797, anno dell'arrivo dei francesi a Padova, fu implicato come accusatore in un processo intentato dai municipalisti contro alcuni monaci del Monastero di S. Giustina. A causa di questo lasciò o fu costretto a lasciare il posto di organista nella Basilica e rientrò a Brescia, dove svolse anche attività didattica. Lo studio della vita e delle opere di Turrini ha messo in luce alcuni importanti aspetti non indagati in precedenza. In primis, l'attestazione inequivoca della presenza a Padova del musicista già dal 1766, rivela necessariamente che Turrini incontrò Mozart nel 1771 e potè vederlo e ascoltarlo mentre il giovane Wolfgang suonava quello che in seguito definì «l'impareggiabile organo» della basilica.

Tra gli altri elementi di interesse merita particolare rilievo la speciale ammirazione per le opere di Muzio Clementi, che il compositore ebbe modo di poter seguire anche per l'intima amicizia che legò lo zio, Bertoni (peraltro più volte in tournée in Inghilterra), con William Beckford, cugino del tutore e mecenate del giovane Clementi, Peter Beckford. Turrini apprezzò con tale considerazione le opere del musicista romano da dedicargli una serie di sonate, inizialmente pensate per il cembalo, ma in seguito espressamente rielaborate per il pianoforte. Queste sonate sono preziosa e rara testimonianza, da una parte, della nascita della forma sonata in Italia, dall'altra, dell'evoluzione della tecnica strumentale, con riguardo anche a importanti risvolti organologici. In una di esse si riscontra infatti la presenza, estremamente rara, del mi grave, utilizzato proprio per omaggiare Clementi, titolare in Inghilterra di una celeberrima fabbrica di strumenti e in quel periodo in visita in Italia. La maggiore estensione nella sezione grave fino al Do0 negli strumenti inglesi è riscontrabile già dal 1770 circa, mentre è noto che l'estensione normalmente praticata nel resto d'Europa alla fine del XVIII secolo era al massimo di cinque ottave e mezzo, da Fa0 a do6. La relazione intende quindi approfondire la vita e le opere di Turrini, avvalendosi anche dell'ascolto di brevi inserti musicali ed evidenziando, con cenni all'organologia, il contributo del compositore ad affermare in Italia la forma sonata nel delicato momento di transizione dal clavicembalo al pianoforte.


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Mariacarla De Giorgi

Alipio e la ricezione della teoria notazionale greca nella cultura musicale del Rinascimento

L'apporto fondamentale della teoria di Alipio alla conoscenza della musica greca antica e delle sue risorse notazionali ha esercitato una sua forte suggestione su generazioni di studiosi e cultori delle antichità classiche e della musica, che in particolare nel Rinascimento italiano tentarono di riportare in vita un modello di recitazione musicale accompagnata, in cui musica e parola fossero un tutt'uno.
Ma quale fu in questo processo di rinascita della «musica antica» il ruolo avuto dalla teoria di Alipio nella conoscenza diretta della musica greca classica e della sua notazione?

Se è vero che la Isagogè musikè di Alipio dovrà attendere il Seicento per essere edita in diverse versioni latine, è pur vero che il Cinquecento ne aveva già indagato a fondo la semiografia nel tentativo di decifrare e comprendere le strutture melodico-modali delle fonti musicali, uniche vere testimonianze, sia pur frammentarie, della pratica notazionale greco-antica.
La seguente relazione cercherà di ricostruire sulla base di importanti e finora inedite fonti manoscritte un quadro storico-culturale il più dettagliato possibile di quello che fu il contributo di Alipio alla ricostruzione della «musica antica» nei circoli eruditi del Rinascimento europeo.

Partendo dal carteggio intrattenuto da Girolamo Mei con Vincenzo Galilei e con Giovanni Bardi si tracceranno le tappe fondamentali di un difficile percorso, che attraversò due secoli cruciali nello sviluppo della storia della musica, come il XVI e XVII, coinvolgendo le forze intellettuali in accese dispute tra i dotti fautori della «musica antica» e i “riformisti” sostenitori della «musica moderna». L'ambizioso tentativo di riscoprire a pieno la musica dei Greci, porterà importanti teorici italiani ed europei da Zarlino a Mersenne fino a Kircher ad un approccio diretto con Alipio e le sue preziose tavole di notazione, restituendo alla teoria notazionale greca una posizione tutt'altro che marginale nello studio della musica greco-antica.


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Elsa De Luca – Valentina Marangi

Il sito web, i materiali e gli strumenti di consultazione del Progetto RAPHAEL – Rhytmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant: computerized census and integral restoration of a neglected musical repertoire [RAPHAEL project]

La relazione ha per oggetto l'illustrazione dei contenuti e delle funzionalità del sito web e degli strumenti di consultazione in esso integrati dedicati al Progetto RAPHAEL. Volto al censimento, alla descrizione e alla riproduzione fotografica digitale delle fonti musicali italiane e dei trattati teorici che testimoniano l'esecuzione ritmica o la scrittura mensurale nel canto gregoriano, il Progetto RAPHAEL ha quale titolo ufficiale bilingue: Rhytmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant: computerized census and integral restoration of a neglected musical repertoire [RAPHAEL project] – Censimento informatizzato e restauro integrale di un repertorio musicale trascurato: il canto gregoriano con elementi ritmico – proporzionali.

A partire dagli anni '90, quando furono avviate su iniziativa dell'Università di Padova le prime ricerche sistematiche sui libri liturgico-musicali manoscritti e a stampa e sui trattati, la consapevolezza circa l'importanza del fenomeno del canto fratto è cresciuta sensibilmente, in particolare grazie all'avvio del Progetto di Ricerca INteruniversitario RAPHAEL nel 2002 e con il contributo del primo convegno internazionale di studi intitolato Il canto fratto: l'altro gregoriano (Parma-Arezzo, 3-6 dicembre 2003); un'ulteriore occasione di confronto ha avuto luogo nel corso del convegno nazionale di studi Il canto fratto in Italia (Lecce, 13-14 ottobre 2006). Inserito fra i programmi di rilevante interesse nazionale del 2004, cofinanziato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e promosso dalle Università di Lecce, Padova, Pavia e Parma in collaborazione con la Fondazione Guido d'Arezzo, con la coordinazione scientifica di Marco Gozzi, il Progetto RAPHAEL ha consentito di estendere gli studi e di consolidare i risultati delle ricerche, contribuendo a restituire agli studiosi un corpus riconosciuto oggi di primaria importanza per lo studio della musica italiana ed europea dei secoli XIV-XVIII.

Rientravano fra i compiti del progetto del 2004 – che comprendeva fra l'altro la prosecuzione delle operazioni di censimento, descrizione e acquisizione delle fonti, l'edizione critica parziale, l'esecuzione dal vivo e la registrazione di esempi significativi del repertorio da parte di ensembles specializzati – la progettazione e la realizzazione del sito web riguardante le riproduzioni dei libri liturgici, gli studi e i materiali dedicati ai Kyriali italiani: la pubblicazione in rete su un dominio proprio (http://www.cantusfractus.org) e la realizzazione di un database interrogabile attraverso differenti chiavi di ricerca consentono oggi di offrire all'intera comunità scientifica i frutti ormai consolidati di un lavoro che non può dirsi di certo concluso, ma che offre già importanti risultati e significativi spunti per nuovi studi e nuove conoscenze.


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Silvia de Maria

Le dodici cantate di Rosanna Scalfi nel manoscritto A.MS.3819 dell'Accademia di Santa Cecilia

La relazione proposta ha come oggetto le dodici cantate di Rosanna Scalfi, una donna d'umili origini che divenne la moglie di Benedetto Marcello dopo esserne stata l'allieva prediletta.

Le notizie biografiche che ci sono pervenute su Rosanna Scalfi sono poche; nelle biografie settecentesche dedicate a Benedetto Marcello si racconta che il musicista veneto, udendo per caso cantare Rosanna, rimase così colpito dalle sue doti canore da volerle impartire lezioni gratuitamente.

Le dodici cantate di Rosanna sono contenute nel manoscritto A.MS.3819, conservato presso il fondo Mario della biblioteca dell'Accademia di Santa Cecilia a Roma. Il manoscritto A.MS. 3819 è l'unica fonte nota di questa raccolta di cantate; l'esemplare è una copia di fine XVIII secolo, mentre l'autografo non c'è pervenuto.

Le dodici cantate sono state catalogate da Eleanor Selfridge-Field, ma di esse non è mai stata realizzata un'edizione moderna. Marco Bizzarini ha contribuito a fare luce sulla figura di Rosanna Scalfi pubblicando nel 2006, all'interno della sua monografia su Benedetto Marcello, un'ampia selezione delle carte del processo che vide opporsi Rosanna ad Alessandro Marcello, fratello di Benedetto, a causa della cospicua eredità che quest'ultimo avrebbe lasciato alla moglie. Secondo Bizzarini le dodici cantate sono state composte dalla Scalfi negli anni venti del Settecento, probabilmente sotto la guida di Benedetto Marcello. Le cantate di Scalfi pongono diversi problemi d'interpretazione concernenti il testo musicale e poetico (spesso lacunoso), le peculiarità sintattiche e armoniche in particolare dei recitativi, e naturalmente l'entità del possibile contributo di Benedetto Marcello all'opera della moglie. Attraverso l'analisi delle scelte poetiche e musicali dell'autrice, e la comparazione di queste cantate con quelle di Benedetto Marcello, la relazione intende indagare questo ulteriore tassello nella ricostruzione del contributo delle donne compositrici alla storia della cantata settecentesca.


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Andrea Del Castello

Testo, musica, immagine. Riflessioni su temi e figure di The wall dei Pink Floyd

Il più grave e diffuso errore degli studi che hanno per oggetto testi audiovisivi appartenenti alla sfera popular consiste nella mancanza di un'interazione tra metodologie attinenti a diverse discipline. Spesso infatti le analisi sono troppo sbilanciate verso l'approccio visivo, come dimostra ad esempio il mediocre livello dell'attuale bibliografia sui videoclip musicali, oppure verso l'approccio sonoro, caso però che si verifica sporadicamente, essendo l'editoria sulla popular music traboccante di autori privi di studi musicologici alle spalle.

Il presente contributo mira invece ad una più equilibrata analisi dell'oggetto in esame, nel caso specifico The wall dei Pink Floyd, attraverso concomitanti sguardi al testo linguistico, all'aspetto sonoro (musica e rumori) e all'aspetto visivo. Per la precisione, l'intervento consiste di una serie di riflessioni critiche concernenti tre facce di un'unica (ma evidentemente complessa) opera, concepita fin dall'origine come polimorfica: in effetti essa è, a un tempo, disco, film e rappresentazione dal vivo.

Quindi, attraverso l'analisi di alcuni momenti dell'opera e di alcune figure in essa ricorrenti, si evidenzia come testo, musica e immagine siano assolutamente inscindibili in un'analisi che possa definirsi completa dal punto di vista metodologico. Naturalmente alla minuziosità dell'analisi microstrutturale non corrisponderà un'applicazione di tale metodo alla totalità dell'opera: più che effettuare una lettura esaustiva di The wall, ci si prefigge di giungere a delle conclusioni che da un lato stimolino il proseguo degli studi su un caposaldo della storia del rock, ma dall'altro contribuiscano soprattutto a sostenere l'importanza dell'analisi in contemporanea delle tre componenti che costituiscono l'opera nella sua unitarietà: testo, musica e immagine.


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Giovanni Paolo Di Stefano

Liutai, violari, chitarrari e cembalari a Palermo nei secoli XVI-XVIII

Nel corso degli ultimi anni, la ricerca musicologica ha apportato un notevole contributo allo studio della storia e della diffusione degli strumenti musicali nell'Italia meridionale e in particolare a Napoli. L'impegno da parte di studiosi italiani e stranieri nel campo degli studi organologici ha infatti permesso di ampliare notevolmente le conoscenze dei processi di produzione, delle tipologie e delle caratteristiche costruttive degli strumenti musicali prodotti in area partenopea nei secoli XVI-XIX. Da queste ricerche è però rimasto pressoché escluso il Regno di Sicilia la cui capitale Palermo fu, assieme a Napoli, uno dei principali centri musicali del sud Italia.

Il presente contributo illustra i risultati emersi dalle ricerche condotte nel corso degli ultimi anni, presso l'Archivio di Stato e l'Archivio Diocesano di Palermo, sui fabbricanti di strumenti musicali attivi nella capitale siciliana tra Cinquecento e Settecento. L'indagine archivistica ha infatti permesso l'identificazione di un numero assai significativo di liutai, violari, chitarrari, cembalari del tutto ignoti ai repertori bibliografici e l'acquisizione di inedite informazioni su alcune delle principali tipologie strumentali prodotte in Sicilia nel periodo in oggetto. Attraverso l'analisi delle fonti documentarie e l'esame di alcuni antichi strumenti musicali palermitani, si cercherà di appurare le relazioni intercorse in questo ambito con altri centri italiani (Venezia, Roma, Napoli) e di delineare alcuni degli aspetti più significativi di una tradizione costruttiva fino ad oggi del tutto sconosciuta.


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Silvio J. dos Santos

Constructing Identity: The Case of Alwa in Alban Berg's Opera Lulu

A paradoxical work, Lulu embodies Berg's search for his own identity as an avant-garde composer, one in which he confronted conflicting views on modernism in art and culture. On one hand, Berg assimilated ideals from a group of intellectuals, including Weininger, Kraus, Loos, and Schoenberg, who adopted a critical attitude toward the purely ornamental, if not narcissistic aspects of modern Viennese culture. On the other hand, Berg did not let go of the “dream world of subjective states” that had characterized post-Wagnerian aesthetics. In fact, as he fashioned his own identity as a twelve-tone composer, he sought to reconcile his new musical language and techniques with the past, especially the music and aesthetics of Richard Wagner.

This apparent conflict between the modern and the past is particularly evident in Berg's radical transformation of Alwa's character, who he identifies in the autograph sources as “the composer of Wozzeck.” The nature of this identification is further complicated, however, when Berg also equates Alwa with Tristan from Wagner's Tristan und Isolde. Following the theory of romantic love exposed by the contemporaneous Viennese writer Emil Lucka, Alwa experiences different stages of love evolving from the sensual and the spiritual to a blending of the two. This Wagnerian dimension is also embedded in the formal organization of the rondo in Act 2, particularly the end of the love scene. Significantly, in the autograph manuscript of the work Berg included a verbatim quotation of the opening of Tristan bearing close resemblance to the same quotation used in the Lyric Suite. Evidence from personal accounts, letters, and musical structures suggests that Berg's appropriation of Wagner projects his will of self-fulfillment as he developed his modernistic musical aesthetics.


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Vitale Fano

«Lasciar la musica nuda». Tracce di un rapporto fra Gabriele d'Annunzio e Guido Alberto Fano nei primi anni del Novecento

La prima testimonianza di un rapporto fra Gabriele d'Annunzio e Guido Alberto Fano è costituita da alcune righe autografe del poeta, datate 2 febbraio 1902 che riportano alcuni versi della Francesca da Rimini («Marzo è giunto e febbraio / Gito se n'è col ghiado. / Or lasceremo il vaio / Per veste di zendado»), apposte a guisa di dedica sul frontespizio del manoscritto delle Tre canzoni del Decameron di Fano, tre liriche per canto e pianoforte composte nel 1901. La dedica è prova della partecipazione del poeta alle riunioni settimanali che Fano teneva in casa propria a Bologna con musicisti e letterati (vi prese parte anche Giosue Carducci), in cui si eseguiva musica da camera e si discuteva di questioni d'arte.

Nel fondo musicale del musicista, conservato presso l'Archivio Fano di Venezia, vi è anche una lettera in cui D'Annunzio dà a Fano alcune istruzioni dettagliate sulle modalità di stampa delle musiche annesse alla Francesca da Rimini, in procinto di essere data alle stampe. Dalla lettera si deduce quindi che fra i due vi fu una breve collaborazione e che il musicista fece da coadiutore alle stampe per l'edizione che uscì nello stesso anno 1902.

La ricerca su tali documenti, e su altri conservati al Vittoriale, la loro analisi e contestualizzazione, intende chiarire alcuni aspetti del rapporto fra i due personaggi, e più in generale fra il poeta e l'ambiente bolognese della cerchia di Fano, e comprendere il senso di queste indicazioni, e quindi il pensiero del poeta, alla luce della veste grafica definitiva della Francesca da Rimini.

Ciò si ritiene significativo per vari motivi: 1) perché apporta un nuovo contributo alla conoscenza del musicista padovano Guido Alberto Fano, di cui da qualche anno è in atto un progetto di riscoperta condotto sia sul versante scientifico che su quello performativo; 2) perché amplia la conoscenza sulla vita musicale italiana del primo Novecento, affiancando studi che di recente si vanno facendo sempre più approfonditi; 3) perché allarga il campo di indagine sui rapporti di D'Annunzio con i giovani musicisti italiani nello scorcio di inizio secolo.


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Cristina Fernandes

La fortuna del Coro dos Italianos della Cappella Reale e della Patriarcale di Lisbona nel secondo Settecento

La contrattazione di cantanti italiani per la corte portoghese nel secondo Settecento è stata studiata fino ad ora soprattutto dal punto di vista dell'opera lirica. Tuttavia con l'eccezione dei cinque anni precedenti al terremoto del 1755, caratterizzati per un grande investimento nell'opera da parte del re D. José, la corte portoghese ha fatto della dimensione spettacolare e del rituale religioso la principale strategia di rappresentazione simbolica del potere regale. Solo una piccola parte delle decine di cantanti italiani al servizio della monarchia cantavano nei teatri reali ed in concerti della real camera. La maggior parte faceva carriera nel campo della musica sacra nella Cappella Reale (che D. João V era riuscito ad elevare a Patriarcale nel 1716, secondo il modello del Vaticano) e presso la vasta rete di chiese e monasteri mediante il mecenatismo reale.

L'obiettivo della presente ricerca è analizzare lo status socio-professionale e l'attività musicale dei cantati italiani della Cappella Reale e della Patriarcale (che dopo il terremoto hanno occupato chiese separate) attraverso fonti d'archivio, relazioni di viaggiatori stranieri e spartiti musicali. Dei circa 70 cantanti a libro paga di queste istituzioni, circa 50 erano italiani, includendo vari castrati. La “diaspora” dei musicisti italiani, per usare il termine adottato da Reinhardt Strohm, si è prolungata in Portogallo fino alla fine del '700 ed è proseguita dopo il trasferimento della famiglia reale in Brasile nel 1807. I cantanti italiani venivano da città diverse come Napoli, Roma, Bologna, Genova, Firenze o Siracusa e costituivano un gruppo professionale molto prestigioso nella gerarchia delle istituzioni musicali portoghesi. Formavano il cosiddetto “Coro dos Italianos” e avevano stipendi cinque o sei volte superiori a quelli dei loro colleghi del “Coro dos Portugueses”, oltre ad altre regalie. I portoghesi con migliori voci potevano essere aggiunti al “Coro dos Italianos”, però questo raramente succedeva. Qualche cantante italiano era anche professore, maestro di cappella, ispettore, appuntatore del coro o compositore. Le voci ed il dominio tecnico dei solisti più bravi (come Carlo Reina, Gianbattista Vasquez, Ansano Ferracutti o Taddeo Puzzi) sono direttamente legati alla scrittura virtuosistica di certi pezzi sacri dei compositori ufficiali di corte (che includevano personalità della statura di Giovanni Giorgi, David Perez o Jommelli) e dei principali compositori portoghesi. Una parte dei cantanti ritornava in Italia quando andava in pensione, altri però restavano in Portogallo con le loro famiglie. Questo circuito si chiude quando alcuni dei loro figli, nati a Lisbona, diventano alunni di compositori portoghesi che avevano studiato a Napoli (come João de Sousa Carvalho o Jerónimo Francisco de Lima) nel Seminario della Patriarcale. È il caso di João José Baldi o Antonio Puzzi, compositori importanti della generazione seguente. Un percorso interessante è quello del soprano Giuseppe Totti che dopo dieci anni come cantante della Cappella Reale, studia con Sousa Carvalho, gli succede nel posto di professore della famiglia reale e diventa un prolifico compositore di musica sacra.


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Sarah M. Iacono

Il Pirro e Demetrio: fonti note e sconosciute tra Napoli e il Nord Europa

Il Pirro e Demetrio di Alessandro Scarlatti – «perhaps the best of the earlier neapolitan operas» (Dent) – va in scena per la prima volta a Napoli, presso il Teatro di S. Bartolomeo, nel 1694. È questo un dato che si desume dal libretto conservato presso il Conservatorio «S. Pietro a Majella». Da quel momento in poi grandissimo fu il successo, considerati gli allestimenti successivi e ripetuti a Roma soprattutto, ma anche a Siena, Livorno e Firenze. Il «dramma per musica» subì vari adattamenti e sbarcò infine a Londra nel dicembre 1708. Fu una delle prime opere italiane ad essere eseguita oltremanica, con l'aggiunta di nuovi pezzi chiusi, rimaneggiata nel testo poetico per venire incontro alle esigenze di un cast bilingue.

Proprio a questa messa in scena fanno riferimento le numerose antologie di brani strumentali e vocali pubblicati a Londra nel primo quindicennio del Settecento. Le partiture manoscritte di cui si conosceva l'esistenza erano, sino ad ora, due: una napoletana, l'altra custodita in Belgio, nella Bibliotheque Royale di Bruxelles. Il rinvenimento di una terza partitura, proprietà dei Bozzi-Colonna (antica famiglia dell'aristocrazia salentina), attualmente nel fondo omonimo della biblioteca del Conservatorio «T. Schipa» di Lecce, ha permesso di focalizzare alcuni elementi che hanno evidenziato aspetti di controversa interpretazione anche rispetto ai documenti già noti: datazione e relativa cronologia delle rappresentazioni, funzione, provenienza e contesti di realizzazione delle copie nonché rapporti con le edizioni a stampa delle musiche e del libretto. La presente ricerca si incentra sulla disamina delle relazioni tra le varie fonti e il nuovo testimone dell'opera scarlattiana, frutto del lavoro di un copista ben rappresentato a Napoli ed esemplare di pregevole fattura, che si inserisce nell'habitus collezionistico di uno dei tanti casati di Terra d'Otranto che avevano consuetudine con la musica.


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Vasilis Kallis

Mon-diatonic modality as an agent of modified tonality in Ravel's jeux d'eau

Steven Baur and Richard Taruskin acknowledge the usage of non-diatonic modality supporting tonal functionality in Ravel's Jeux d'eau. Such usage of non-diatonic modality is not limited to this particular instance. One can also observe it at other structural junctures within the specific work, for example, during the passage that prepares the repetition of theme A in the exposition (bars 3–6, see Example 1), in the parallel passage in the recapitulation (bars 62–4), and during the retransition, which sets up the recapitulation (bars 60–2).

Jeux d'eau presents a musical surface saturated by octatonic, whole-tone and pentatonic passages, whose intertwining conforms to a broader scheme of pitch syntax based on cross-collectional interaction. At the same time, this modus operandi is ingeniously integrated within a governing (deep middleground/background occupying) tonal arch – there is more than a single approach to the integration of non-diatonic modality into tonal structures.

The present research paper examines:

  • the method by which the non-diatonic scales enter the foreground (direct statement, result of symmetrical division of chromatic space, transposition of subset and non-subset structures) and interact with one another.
  • how this particular scheme of cross-collectional interaction provides, on the one hand, the means for the intrusion of several chromatic episodes vital to the integrity of form (Jeux d'eau is cast in sonata form), and on the other, an intriguing resource of (modified) tonal functionality.

Example 1 - Ravel Jeux d'eau, bars 3–6, whole-tone/octatonic episode

esempio 1

Example 2 - Ravel Jeux d'eau, bars 60–2, whole-tone intrusion as the means to prompt tonal animation esempio 2

 


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Kevin Karnes

Max Klinger, Johannes Brahms, and the Challenge of the Gesamtkunstwerk: Revisiting Klinger's Brahms-Phantasie (1894)

Max Klinger's Brahms-Phantasie, consisting of forty-one drawings and etchings interspersed with the complete scores of six of Brahms's vocal works, cemented Klinger's reputation as “the most original artist that Germany has the honor of calling her own,” as Hugo von Hofmannstahl declared. In producing the volume, Klinger sought “to cast a glance across the range of feeling” that he encountered in Brahms's music, “and from there, to sympathize and to go further, to connect and to expand.” By 1894, Klinger had achieved considerable renown as a visual artist. But the Brahms-Phantasie was something more than just another volume of prints. It was a work to be seen and heard, either literally (when Brahms's scores are performed) or in the mind of the observer. As such, it exemplified the new, composite art form that Klinger described as Raumkunst or “Spatial Art.” Inspired by Richard Wagner's concept of the Gesamtkunstwerk, Klinger envisioned the Raumkunstwerk as an integral union of artistic media, literally filling the Raum or space inhabited by the observer.

In recent years, the visual components of the Brahms-Phantasie have received considerable attention from art historians. But the relationship between its musical texts and visual images, and the indebtedness of Klinger's work to broader lines of turn-of-the-century aesthetic and cultural discourse, await a detailed investigation. In my paper, I consider a question that touches upon both of these themes. Namely, what can we make from the fact that Klinger chose Brahms—the notoriously conservative, even classicist composer widely regarded by contemporary critics as Wagner's “musical antipode” (in the words of one)—as the supplier of his musical materials? I will suggest that the Brahms-Phantasie can be read as an ambivalent critique of a line of late-century cultural criticism that regarded the Wagnerian union of artistic media as a means by which to foster transcendence of the individualistic concerns of a materialistic age, and to usher in a future era of humankind's spiritual unity. Like Nietzsche, Klinger endorsed Wagner's effort to “destroy the Germans' interest in occupying themselves with separate, individual arts.” Yet by situating Brahms at the locus of his Raumkunst experiment, Klinger firmly rejected Wagner's claim to have invented the sole musical language capable of facilitating such an artistic revolution. Moreover, by crafting in sound and image a narrative tale of insurmountable alienation from both humanity and the gods, Klinger's work cast a skeptical shadow across Wagner's vision of a dawning spiritual utopia. Indeed, the Brahms-Phantasie proffers an image of modernity profoundly transformed by Wagner's achievements, yet also deeply rooted in German cultural history and limited in its spiritual achievements by the inherent frailties of human nature.


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Valentina Liberatore

Un'inedita «favola cantata» nella Roma del primo Seicento

Notizie di un'opera sconosciuta ai repertori musicali emergono da una fonte miscellanea del Fondo Ferrajoli della Biblioteca Apostolica Vaticana: si tratta di una stesura in versi intitolata Amore tormentato di Girolamo Bartolomei già Smeducci (1584-1662) «gentilomo fiorentino», Accademico della Crusca e Accademico Umorista di Roma, già noto come poeta drammatico e autore, fra l'altro, dei libretti di diversi Drammi musicali sacri, pubblicati a Firenze nell'omonima raccolta del 1656, di La Fedeltà d'Alceste (ivi, 1661), nonché dei testi di numerose canzonette e madrigali spirituali.

Nella fattispecie, come chiarito dal frontespizio, si tratta di una «favola cantata nelle Noze degl'eccellentissimi signori sposi, Prencipe, et Prencipessa di Sulmona», rappresentata in occasione del matrimonio tra i due, al secolo Marc'Antonio Borghese e Camilla Orsini, celebrato sontuosamente a Roma da papa Paolo V – zio dello sposo – il 20 ottobre 1619 nella Cappella del Palazzo di Monte Cavallo, oggi noto come il Quirinale. La speciale circostanza in cui fu allestita l'opera è precisata inoltre dalla lettera dedicatoria anteposta al manoscritto, datata Roma, 24 ottobre 1619, la quale, oltre a stabilire un preciso nesso – anche di ordine cronologico – tra i due eventi, induce a considerare la fonte pervenuta come una redazione ex post dello spettacolo.

Il ritrovamento contribuisce inoltre a dettagliare il contesto e gli apparati celebrativi legati a queste nozze, fino ad ora generalmente associate alla rappresentazione di La morte d'Orfeo di Stefano Landi e alla ripresa in versi della tragedia con cori Erotilla, di Giulio Strozzi. Benché sia la musica che il nome del compositore di Amore tormentato non siano pervenuti, questa fonte, ricca d'indicazioni sceniche e di didascalie a destinazione prevalentemente madrigalistica e coreutica (retaggio della grande tradizione degli intermedi), potrà aggiungere nuovi elementi alla conoscenza del repertorio del teatro musicale italiano del primo Seicento.


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Matteo Mainardi

La collezione di libretti della Società Storica Lombarda. Addenda al Catalogo Sartori e nuove considerazioni sulle collezioni private nobiliari milanesi

La Società Storica Lombarda, fondata da Cesare Cantù il 12 dicembre 1873, rappresenta una delle più significative istituzioni culturali milanesi: nella sua sede di via Morone a Milano, presso la Casa del Manzoni, sono custoditi una biblioteca e una serie di fondi archivistici di notevole importanza, per la maggior parte formatisi grazie a donazioni di nobili e importanti famiglie milanesi. La collezione dei libretti proviene da due fondi librari e archivistici: la Raccolta Bertarelli e il Fondo Visconti di San Vito. La prima collezione fu donata tra il 1904 e il 1909 dal celebre industriale e collezionista di incisioni Achille Bertarelli, comprende stampe, carte topografiche, piante, vedute di città, ritratti, gride, pergamene notarili, manoscritti, opuscoli, oltre a una raccolta di libretti.

La seconda collezione è stata invece donata nel 1912 dagli eredi del marchese Carlo Ermes Visconti di San Vito, consigliere comunale e assessore per l'istruzione del comune di Milano, presidente della Giuria per il concorso internazionale per la facciata del Duomo (1886) e vicepresidente per il concorso per le formelle bronzee del portale centrale della Cattedrale (1894). Il patrizio fu anche sindaco del comune di Somma Lombardo (VA) e molto probabilmente la collezione di libretti proviene dalla biblioteca del castello Visconti di San Vito della medesima città.

La collezione di libretti consta complessivamente di 39 esemplari (19 drammi per musica, 9 cantate per intramezzo, 3 argomenti di balletti, 2 cantate per intermedio, 2 cantate, 2 oratori, una cantata sacra e un dramma giocoso), per complessivi 22 soggetti profani e 17 soggetti sacri. Il libretto più tardo risale al 1676 (il dramma per musica Marcello in Siracusa), il più recente al 1815 (la cantata Il mistico omaggio), due soli libretti risultano essere estranei all'arco temporale del catalogo di Claudio Sartori; 37 libretti sono riferiti a spettacoli avvenuti a Milano, uno a Monza e uno a Vercelli, per quanto concerne gli autori si sottolineano tre cantate musicate da Giovanbattista Sammartini e due da Giovanni Andrea Fioroni.

La collezione non è stata censita da Claudio Sartori e quindi tutti i libretti rintracciati risultano esemplari non presenti in catalogo; se per molti di questi il loro reperimento semplicemente significa la segnalazione di ulteriori testimoni di libretti già censiti, va sottolineato come per ben circa dieci titoli (tutti libretti di soggetto sacro) si tratta di edizioni non indicate da Sartori e quindi ci si trova davanti a dei testimoni unici, mai prima segnalati; inoltre per alcuni libretti (di soggetto sia sacro che profano) si tratta degli unici esemplari conservati oggi a Milano e relativi a spettacoli milanesi. In conclusione verrà fatto un resoconto del lavoro di indagine svolto per il reperimento di fondi di libretti finora sconosciuti e custoditi presso nobili famiglie milanesi.


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Alberto Mammarella

La Frottola sacra napoletana nel primo Seicento: nuove acquisizioni

Accanto alle forme tradizionali che, senza particolari distinzioni, si ritrovano in tutta la produzione italiana seicentesca, il repertorio sacro napoletano annovera un genere del tutto inconsueto e, a quanto pare, peculiare: la frottola. Essa doveva essere abbastanza diffusa a Napoli, almeno nella prima metà del Seicento, e le raccolte a stampa e quelle manoscritte di cui si ha notizia sono la più evidente testimonianza. È da ritenere, inoltre, che la frottola fosse conosciuta anche al di fuori della realtà napoletana. Infatti nel 1632, quando Heinrich Schütz invia la sua missiva con la richiesta di «Musiche da Napoli» chiede espressamente le «Frottole del Padre Grillo a più voci», forse attratto dalla curiosità che un simile titolo inevitabilmente destava fuori di Napoli.
Pur essendo un unicum del repertorio sacro napoletano, la frottola non è stata mai indagata a fondo. Salvatore di Giacomo, il primo ad affrontare l'argomento, la definì «quel canto a coro che, in comitiva di dieci o quindici, a frotte, i figlioli dei Conservatorii napoletani eseguivano, quasi correndo davanti alle processioni in onore dei santi […]».

Attraverso l'analisi delle frottole contenute nel manoscritto MS.51 conservato presso la Biblioteca del Conservatorio di Musica “S. Pietro a Majella” di Napoli e quelle pubblicate a stampa nel 1621 da Orazio Giaccio, verranno presentate e discusse le caratteristiche musicali e testuali proprie del genere. Sarà la valutazione dei testi poetici intonati a fornire i connotati propri della frottola e a svelare la stretta relazione con l'inno. Il quadro che emerge mostra, infatti, la persistenza nel primo Seicento a Napoli di alcuni testi innodici di tradizione medioevale che non trovano ufficializzazione nel Breviario e che continuano ad essere utilizzati, pur privati, però, della propria funzione di inno.


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Paolo Mechelli

Nicola Tacchinardi: tenore, figurinista, 'metteur en scène'

È ben noto come molti addetti ai lavori del mondo teatrale di inizio Ottocento, per lo più cantanti o ballerini, in virtù dell'ampio spettro di competenze maturate nell'arco della loro carriera, risultino parallelamente attivi anche 'dietro le quinte' del montaggio di uno spettacolo in qualità di organizzatori, consiglieri, figurinisti e metteurs en scène con sagacia ideativa e versatilità operativa tali da rivelarsi pedine di estremo rilievo nell'ideazione e nell'approntamento degli allestimenti operistici.

È il caso del tenore Nicola Tacchinardi (Livorno 1772 – Firenze 1859). Costui corrisponde con l'impresario Alessandro Lanari in particolare dal 1828 al 1837. Dall'esame delle sue lettere conservate nell'Archivio Lanari della Biblioteca Nazionale di Firenze infatti, emerge chiaramente che il tenore, oltre a svolgere la propria carriera di cantante, diviene personaggio fondamentale afferente al retroscena dell'impresario marchigiano, sostenendolo e sollecitandolo con idee, consigli, ammonimenti ed opinioni di ogni sorta, grazie al fiuto e alla grande esperienza teatrale. Dai circa quindici documenti epistolari si ha la possibilità di venire a conoscere illuminanti riflessioni in particolare su voci, tecnica di declamazione, brani cantati di maggior gradimento, vestiario, scenografia e messa in scena: tutti elementi teatrali estremamente significativi, letti e interpretati da Tacchinardi soprattutto dal punto di vista della loro sinergia come pure dell'effetto sortito sullo spettatore. La sagacia delle riflessioni dell'uomo teatrale livornese è altresì attestata e corroborata parallelamente in sede teorica dal suo trattato Dell'Opera in musica: sul teatro italiano e de' suoi difetti (Firenze 1833), nel quale conferma temi e fenomeni affrontati nelle sue missive, indagando tra l'altro, alla luce della loro coesione e coerenza drammaturgica, gesto «necessario a secondar la parola», «ragionata declamazione, possesso di scena», nonché congrua e oculata scelta delle tinte e dei costumi.


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Alice Meregaglia

Un inedito di Malipiero: Ricercar toccando (1959)

Nell'ampio catalogo delle opere di Gian Francesco Malipiero la musica pianistica occupa un ruolo di fondamentale importanza. Una sintetica ricostruzione del percorso compositivo malipieriano, limitatamente alla produzione per pianoforte, permette di accertarne la coerenza con il processo evolutivo che condiziona tutta la sua opera, che da alcune trasparenze impressionistiche giunge a marcate tinte espressionistiche, da diatonismi e modalismi fantasiosi – ma organizzati in modo tale da rendersi anche solo vagamente familiari – sfocia, nell'ultimo periodo, in brillanti giochi contrappuntistici dall'assoluta libertà atonale.

L'analisi di Ricercar toccando, un brano pianistico del 1959 ancora oggi inedito, rimasto sconosciuto per oltre trent'anni e riemerso solo sul finire degli anni Novanta, si presta a mettere in luce alcuni presupposti del linguaggio malipieriano degli anni Sessanta. Inoltre la breve ma complessa composizione, con le sue caratteristiche di unità, di compattezza ma anche di imprevedibile varietà, riassume emblematicamente in sé gli atteggiamenti musicali cui Malipiero ha aderito durante la sua attività compositiva.


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Gianfranco Miscia

Caratteristiche e problematiche di un archivio di musica. L'inventario del fondo Francesco Paolo Tosti dell'Istituto Nazionale Tostiano di Ortona

L'inventario è lo strumento imprescindibile per la conoscenza di un archivio analogamente a quello che rappresenta il catalogo per una biblioteca. Un “mezzo di corredo”, come si definisce tradizionalmente nella dottrina archivistica, che rappresenta una sfida sia sotto il profilo concettuale che comunicativo. Infatti con l'inventario si deve essere in grado di rappresentare la storia di un fondo e dei soggetti produttori e la documentazione ivi contenuta. Queste esigenze apparentemente semplici da soddisfare, comportano un notevole lavoro analitico e di sintesi per decidere come e cosa comunicare. Inoltre, nel caso di archivi privati non vi sono delle norme generali di riferimento come quelle che si possono adottare nel caso degli archivi comunali o di altre istituzioni per le quali è stato predisposto un piano di classificazione o titolario che consenta di accorpare le unità archivistiche, normalmente i fascicoli o i registri, in serie omogenee che corrispondano alle funzioni esercitate dagli enti e alla gestione del suo sistema informativo. In questi casi è l'archivista a dare forma all'archivio seguendo, se possibile, le tracce di un ordine predisposto in precedenza. L'ordinamento costituisce il frutto di scelte che non sono mai neutre in quanto attraverso questo strumento si creano degli accessi che orientano lo studioso. Non solo, cambia lo stesso modo di conoscere i singoli documenti che in archivistica traggono il loro valore informativo anche e spesso soprattutto in relazione agli altri documenti. Come in una partita a scacchi la diversa posizione del pezzo ha delle conseguenze notevolmente differenti sull'assetto complessivo.

Nel caso di archivi di musicisti anche se le problematiche generali sono le medesime, si pongono questioni specifiche per le descrizione della documentazione. E a differenza di una biblioteca dove la suddivisione è necessariamente tipologica, nel caso dell'archivio deve dominare l'attività, che normalmente può essere il singolo concerto, attorno alla quale tutta la documentazione si stratifica. La stessa musica in archivio dovrebbe essere trattata diversamente poiché anche in questo caso la dominante è il contesto e non tanto il pezzo singolo. L'inventario dell'archivio Francesco Paolo Tosti ha posto tutti questi problemi cui si è cercato di dare risposta. Del lavoro e delle scelte fatte in funzione della realizzazione dell'inventario che per la sua importanza sarà pubblicato dalla Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si intende rendere conto nel convegno. L'esperienza fatta potrebbe essere condivisa e servire per realizzare gli inventari di altri archivi di musicisti.


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Marco Moiraghi

Hindemith 1919-1924: definizione di uno stile

I primi sei anni della Repubblica di Weimar, subito dopo la fine della Grande Guerra, rappresentano per Paul Hindemith (1895-1963) – come del resto per molti altri artisti tedeschi della sua generazione – un particolarissimo momento di crescita e maturazione. Con la sconfitta militare tutto sembra irrimediabilmente crollato; ma sulle macerie di quell'esperienza tutto sembra riaprirsi, con nuovi slanci. È una fase caratterizzata da uno sprigionamento incontenibile di forze, di aspirazioni, di tensioni. In pochi anni, Hindemith diventa il più eseguito e rappresentato compositore della giovane generazione, grazie ad una vitalità che a molti appare la cifra essenziale del nuovo stile musicale.

La presente relazione intende mettere a fuoco le principali tappe dello sviluppo artistico di Hindemith negli anni 1919-1924, collegando gli eventi della vita del compositore al loro peculiare contesto politico, sociale e culturale. I risultati principali di questa ricerca sono in primo luogo di tipo storico: la messa a fuoco di un mutato clima artistico che già dai contemporanei viene avvertito come un momento nuovo e originale per la storia musicale. Ci sono poi risultati specificamente biografici e musicali: la disamina del percorso di maturazione di Hindemith in quegli anni permette di scandagliare in profondità le ragioni di una nuova coscienza estetica, ben presto orientata verso la cosiddetta Neue Sachlichkeit (“nuova oggettività”). Senza scendere in dettagliate analisi tecniche, ma individuando di volta in volta il senso della crescita personale del compositore, vengono qui prese in considerazione partiture di notevole importanza come la Sonata per viola e pianoforte op. 11 n° 4, la Sonata per viola sola op. 11 n° 5, le tre opere in un atto Mörder, Hoffnung der Frauen, Das Nusch-Nuschi e Sancta Susanna, il ciclo pianistico In einer Nacht, il Terzo e il Quarto Quartetto per archi, gli Otto Lieder per soprano e pianoforte op. 18, la musica per il film Im Kampf mit dem Berge, i cicli liederistici Des Todes Tod, Die Junge Magd e Das Marienleben, la Sonata per violoncello solo op. 25 n° 3 e le prime tre Kammermusiken. L'analisi generale dell'evoluzione riscontrabile nella successione di tali composizioni – tutte comprese nel periodo 1919-1924 – può dare il senso della definizione di uno stile assai personale, realizzatosi poi con perfetta compiutezza nella grande opera teatrale della metà degli anni Venti, Cardillac.


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Lois Musmann

Structure and Centonization in the Fleury Playbook

This paper contains an analysis of how centonization or the recurrence of motivic cells and motivic ideas may be found in the chant of five plays selected from the ten medieval liturgical dramas in the Fleury Playbook. The structure and centonization of each of the five plays is clearly identified, analyzed and articulated in the author's work. The analysis reveals that some plays have a greater variety of motivic cells, while others are more limited in melodic scope.

Further, this study indicates to what extent centonization is found within the individual plays and to what extent there is cross-fertilization, or like motivic cells, found in other of the plays analyzed. The Fleury Playbook, a thirteenth-century manuscript collection, is considered to be unique for its contents: the music and texts of ten medieval liturgical dramas of varying length and dramatic themes, including miracles of St. Nicholas. Now housed in the Bibliotheque municipale of Orleans, the manuscript was once associated with the monastery of St. Benoit sur Loire in Fleury to where, according to legend, relics of St. Benedict were brought in the seventh century CE.


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Roberto Pagano

Il "Gravicembalo", destinatario privilegiato delle Sonate di Domenico Scarlatti

Tratterò delle mie perplessità di fronte ad una tendenza che si è fatta strada negli ultimi anni: il velleitario e spesso arrogante tentativo di strappare a Domenico Scarlatti lo scettro di principe dei clavicembalisti di ogni tempo. Fatta salva la liceità di “trapianti”delle sonate su altri strumenti a tastiera, secondo una prassi mantenutasi inalterata sino agli inizi del XIX secolo, la categoricità di certe proposte va contrastata tenendo presenti alcuni riferimenti ineludibili.

Complessivamente improprio, il riferimento alle Sonate per “cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti” di Ludovico Giustini. Piuttosto infelici, se non circoscritti alle Fughe, i tentativi di trapianto sull'organo, quando non riguardano brani per i quali l'impiego dello strumento è espressamente indicato. Irragionevoli le prevenzioni contro l'esecuzione delle Sonate sul moderno Steinway, specie in anni caratterizzati dal moltiplicarsi di esecuzioni pianistiche di brani che Bach concepì in funzione del “Clavizimbel mit zwey Manualen”: qualsiasi pianista di terza categoria infligge agli ascoltatori le “sue” Goldberg e la vastità delle moderne sale da concerto offre agli organizzatori giustificazioni di natura commerciale per un'operazione culturale a vario titolo blasfema.


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Elisabetta Piras

Testi letterari e musica nel primo periodo compositivo di Giacinto Scelsi

Com'è noto Giacinto Scelsi (1905-1988) vive un rapporto privilegiato con la letteratura nel corso della sua intera vita. La confidenza e la dimestichezza con cui il compositore gestisce la “parola” sono riscontrabili sia nei suoi scritti che nella sua produzione musicale, in cui Scelsi dimostra conoscenza e padronanza di autori e stili diversi. L'eclettismo che contraddistingue il compositore anche nell'ambito della scelta di testi da mettere in musica può essere motivato da svariati fattori: La particolare formazione culturale, segnata dall'insegnamento di un precettore e dalla sporadica frequentazione di istituzioni scolastiche; l'appartenenza a una famiglia nobile, che lo porta a contatto con ambienti culturalmente stimolanti; la possibilità di viaggiare e la conoscenza delle lingue straniere.

Nelle sue composizioni Scelsi mette in musica testi di varia natura; nella prima fase compositiva si trovano testi letterari in particolare poetici, mentre nella seconda fase la parte vocale è rappresentata spesso da fonemi, ad eccezione di alcuni testi religiosi in latino e Il est grand temps / Même si je voyais (1970) su testi di Grégoire de Nazaire e Anonimo. L'obiettivo della mia ricerca è analizzare alcuni aspetti del rapporto tra musica e testo letterario nella prima produzione musicale di Giacinto Scelsi. A questa fase risalgono: Tre canti di primavera (1933) su testi di Sibilla Aleramo; L'amour et la crane (1933) su testi di Charles Baudelaire; Tre canti (1933) su testi di Gabriele D'Annunzio; A l'Imerad (1933) sul testo di una poesia araba; Chanson (1933) su testo di Charles Silvestre; Perdus (1937) su testo di Jean Wahl. Inoltre si ha testimonianza di una rappresentazione di Oracle sul testo di Jean Cocteau a Roma nel 1938, ma non si è ancora trovata la partitura.

I risultati della presente ricerca sono relativi alle motivazioni della scelta dei testi, all'analisi del rapporto tra parole e musica, al rapporto tra la scelta e le tecniche compositive di Scelsi,e a quelle di altri autori a lui contemporanei. Questi risultati rappresentano un contributo di natura analitica e musicologica per mettere in luce le peculiarità strettamente musicali di un personaggio il cui ruolo nella storia della musica del secolo appena trascorso non risulta ancora oggettivamente definito.


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Peter S. Poulos

Intertextuality and Design in the Madrigali a cinque voci of Simone Molinaro

Simone Molinaro's Madrigali a cinque voci con partitura was printed in Loano in 1615, two years after the publication his well-known score edition of the six books of five-part madrigals of Carlo Gesualdo, and following a fifteen-year hiatus in the publication of his own secular music. This recently rediscovered edition offers fresh insights into the work of Genoa's most prominent musician of the time, and reveals considerable changes in Molinaro's compositional style from his earlier madrigals. There is a heightened segmentation in the musical setting of verses and images in Molinaro's Madrigali through the varied use of chromaticism and dissonance, dense imitative or rhythmically animated homophonic textures, highly defined cadential areas, and experimentation with the modern handling of voice parts and form through the use of solo and declamatory vocal writing.

In addition, Molinaro includes several works in his Madrigali that are related, through the borrowing, quotation, or modeling of texts, music, and techniques, to works of the late sixteenth- and early seventeenth-century composers Luca Marenzio, Girolamo Frescobaldi, Richard Dering, and others. These intertextual relationships serve as a means of expressing and distinguishing the individual treatment and mastery of the musical settings of the composer, and aid in defining his compositional method. These findings will be supported through an analysis of the musical and textual sources, and will be discussed in the context of relevant biographical and historical data and the state of the madrigal in the early seventeenth century.


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Irna Priore

The Darmstadt Influence in Luciano Berio's Serial Works

Berio's relationship with Darmstadt is a complicated one, as it was the case with several composers that attended those yearly summer courses. The yearly courses began as a repository for the music that had been forbidden in Germany during the war years. By 1954, new powerful figures began to take charge of the courses. It was particularly the presence of Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, and Luigi Nono that changed the direction of the summer courses.1 Berio never truly belonged to the inmost circle of intellectual figures that headed the courses, although he taught in 1963, lectured as a guest in 1957, and had several of his major compositions from the 1950s composed and/or premiered there.2 Berio's desire to be part of the group exemplifies what many composers from the outside felt: the desire to be accepted, to make a difference, and to be heard. For the ones that were inside the group, the reversal was true: they did not want to be considered as a homogenous group (and they were not); each one strived for individuality; and eventually all dissociated from what became known as the “Darmstadt school.”3 Berio's compositions directly influenced by Darmstadt are given in appendix 1. Berio's compositions from the 1950s can be divided into three broad categories: Serial, hybrid (serial and electronic means), and electronic (purely electronic sounds).4 This paper addresses Berio's compositions during the 1950's with a particular attention to the works that reflect the Darmstadt influence. Three works will be addressed here: Allelujah I (1956), Sequenza I for solo flute (1958); and Différences for 5 instruments and magnetic tape (1959). Sequenza I was written for Severino Gazzelloni during John Cage's famous visit to Darmstadt; Allelujah I uses spatial techniques; and Différences mixes acoustic and electronic sounds. Twelve-tone was the main impulse behind Darsmtadt and traces of twelve tone technique can be found in all pieces Berio wrote during the Darsmtadt years. However, twelve-tone alone is not enough to undersrtand Berio's works from that time. Even the works that Berio himself considered “serial” are not striclty serial because he was also influenced by the idea of “open work,” chance music, and electronic manipulation of sounds. In order to address these works, I will use traditional twelve-tone analysis, “open work,” and sound analysis.

Pierre Boulez taught for the first there in 1956; Both Karlheinz Stockhausen and Luigi Nono taught there for the first time in 1957. All of them had their music performed there prior to their engagements as “teachers” of the summer courses.
Berio's most successful year in Darmstadt was 1963, although this was also his last. Although he was repeatedly invited to return by the new Institute director, Ernst Thomas, Berio refused the invitations year after year.
The term “Darmstadt School” was coined by Nono in 1959.
The electronic music works, although performed in Darmstadt, are the ones that have less to do with Darmstadt and more to do with his experiments in electronic music research that he conducted at RAI together with Bruno Maderna.


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Edite Rocha

Comparative warnings interpretation in the works of Manuel Rodrigues Coelho and Thomas de Sancta Maria

“Flores de Música pera o Instrumento de Tecla, & Harpa” [“Musical Flowers for the Instrument of Keyboard, & Harp”], by Manuel Rodrigues Coelho (ca.1555 - ca. 1635), is the first known publication of original compositions for keyboard and harp in Portugal, printed in Lisbon in the year 1620. In the Prologue and “Advertências Particulares pera se tangerem estas obras com perfeição” [“ Particular warnings to play this works with perfection”], of Manuel Rodrigues Coelho's book, the author dedicates his work “to the players, & professors of the Keyboard instrument”, specifying clearly that it was not his intention “to give reasons, and documents for beginners, teaching how they should play, with which fingers, and with which air”, rather intending his “Musical Flowers” for “advanced players”. Equally, he remarks that those who wished to play and understand his work should have previous knowledge of the practice and art of interpretation of the time.

This communication analyses and compares some aspects of interpretation described in the work “Libro Llamado El Arte de Tañer Fantasia” by Fray Thomas de Sancta Maria [“The Art of Playing the Fantasia”] (Valladolid, 1565), which may have led Manuel Rodrigues Coelho to be so succinct in his warnings, and which also allow generating a framework for the interpretation of “Flores de Música”.


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Christine Siegert

Relazioni intertestuali ne La finta giardiniera

È ben noto che Wolfgang Amadeus Mozart utilizzò, per il suo dramma giocoso La finta giardiniera (Monaco 1775), il libretto scritto per l'opera omonima di Pasquale Anfossi, rappresentata solo un anno prima al Teatro delle Dame di Roma. Per questo si trovano molti paralleli nella musica dei due compositori, benché, a quanto pare, Mozart non conoscesse l'opera del suo collega. Si ignorava invece, finora, che anche il librettista (anonimo) dell'opera anfossiana si servì a sua volta di un modello distinto per creare la scena della cavatina “Un marito, oh dio, vorrei”. La detta cavatina è composta di due strofe: la prima è cantata dalla cameriera Serpetta, la seconda è eseguita da Nardo, imitando la cameriera. Le due strofe sono interrotte da un piccolo recitativo. Nell'intermezzo Amore e musica di Marcello di Capua, messo in scena ancora un anno prima nel carnevale 1773 al Teatro Valle di Roma, si trova una cavatina con un testo in gran parte identico, similmente composta di due strofe, anch'esse interrotte da un recitativo.

L'opera di Marcello di Capua ci è pervenuta in sole due copie: l'una si trova presso la Sächsische Landesbibliothek a Dresda e l'altra nel fondo esterháziano della biblioteca nazionale ungherese a Budapest. Da un confronto delle tre versioni della scena risultano forti affinità: Il librettista de La finta giardiniera non cita solo il testo dell'intermezzo (in cui le due strofe sono cantate dalla stessa persona), ma anche la situazione drammatica: il canto sulla scena.
Come si è visto, lo studio approfondito della scena in questione rivela gli stretti legami fra le produzioni operistiche nella stessa città in stagioni successive. Dimostra inoltre che anche le opere dei compositori più noti non possono essere interamente concepite senza la conoscenza della produzione dei loro contemporanei oggidì quasi completamente dimenticati.


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Luigi Sisto

Aspetti sociali e sistema produttivo liutario a Napoli tra Cinque e Seicento. La Confraternita di Santa Maria dell'Anima dei Tedeschi: storia, vita sociale, attività corporativa (1586 – 1717)

Il presente studio, parte di una trattazione più ampia - condotta non solo da un punto di vista strettamente musicologico, ma anche a carattere sociologico - relativa all'analisi del sistema produttivo liutario a Napoli tra Cinque e Seicento, fa luce sull'attività dei costruttori di strumenti musicali di origine tedesca, per lo più appartenenti alla corporazione di Füssen, protagonisti di una massiccia immigrazione, una vera e propria Volkswanderung, già registrata in altri centri (Venezia, Roma, Genova, Bologna ecc.) e indagata per la prima volta in ambito napoletano. La ricerca, sostanzialmente orientata verso una ricostruzione sistematica delle vicende biografiche ma soprattutto artistiche (tecniche costruttive e interazioni tra dati organologici, iconografico-musicali e prassi esecutiva), trova precise conferme e riscontri significativi, grazie alla consultazione del fondo archivistico e documentario della Chiesa di Santa Maria dell'Anima dei Tedeschi in Napoli, fino ad oggi ritenuto perduto.

I dati emersi (polizze di pagamento, atti notarili dettagliati, processi matrimoniali, inventari) hanno favorito una ricostruzione delle attività e della vita sociale dei congregati (attivi sia nel campo musicale che in quello dell'arte liutaria), e precisato il ruolo nell'ambito del più generale contesto delle corporazioni di arti e mestieri e delle congregazioni di musici attive a Napoli tra Cinque e Seicento. Partendo dal volume di Michael Toll (Die Deutsche Nationalkirche S. Maria dell'Anima in Neapel, Herdersche Verlaghandlung, Freiburg im Breisgau 1909), e operando confronti con i nuovi risultati della ricerca, è stato delineato, inoltre, un quadro delle attività e delle relazioni dei costruttori di strumenti musicali, spesso investiti della carica di prim'ordine di Kirchenmeister all'interno della stessa istituzione. Tale fenomeno è stato messo in relazione con il grande fermento musicale che pervade la Napoli del tempo, dovuto, peraltro, alla presenza della Cappella vicereale, al proliferare di ordini religiosi, fortemente impegnati nell'attività di committenza e nelle esecuzioni musicali, e, non ultima, all'attività dei conservatori, proiettati soprattutto nella seconda metà del secolo XVII verso l'attività musicale, aspetto preponderante all'interno del loro sistema organizzativo.


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Christian Storch

Alfred Schnittke's Early Works. The Symphony No 0, the Violin Concerto No 1 and Nagasaki

Alfred Schnittke's early works have not yet been investigated systematically. That may be due to the fact that the musicological as well as the interpretative focus mainly lies on works that were composed after the mid 1960s, e.g. his Symphony No 1 fom 1969-72. On the other hand some of his early works are either lost (for instance his Concerto for Accordion and Orchestra) or have remained in a status of a draft. However, not a small number of Schnittke's early works have both been published and recorded. The latest recording available is his Symphony No 0 from 1956/57, published in May 2007.
The proposed paper will deal with three early works that can be regarded as major works of the period when Schnittke was immatriculated at the Moscow Conservatory: His Symphony No 0, the Violin Concerto No 1 from 1957 and the oratorio Nagasaki, Schnittkes composition for graduation of the conservatory from 1958. Each piece unfolds its own language that separates it from the others, although all three were composed within two years. Moreover, we find two genres in which Schnittke will later reveal his compositional genius: the symphony and the solo concerto. And we can find parts for choir or soloists in his Symphonies No 2 and 4, the Epilogue from Peer Gynt and, of course, in his operas, the Concerto for Mixed Choir and the Requiem, among others.

Therefore this paper can give a review of the compositional approach of the young composer Alfred Schnittke that may later have an impact on his works in their particular genre. Though all three compositions speak a very expressionistic but tonal language, there are elements that later occur in some of his milestones, e.g. in the Symphony No 3 or the Concerto for Piano and Strings. Especially the first violin concerto appears to be a step towards Schnittke's compositional approach of polystylism which only arises at the end of the 1960s. After short analyses of the three chosen compositions the paper will try to figure out these particular elements that give hints of the later development of the composer Alfred Schnittke. Finally, a conclusion will summarise the hitherto results of musicological research regarding Schnittke's early works.


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Marco Targa

Cromatismo ed esatonalità: stilemi armonici e aspetti drammaturgici nell'opera di Giacomo Puccini

La produzione operistica di Giacomo Puccini si colloca quasi interamente in quel trentennio, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in cui l'evoluzione del linguaggio armonico tonale è interessata dal sorgere dei fenomeni responsabili del processo di graduale “allargamento della tonalità”. Il linguaggio armonico di Puccini riflette in maniera interessante i vari sviluppi che caratterizzano le sperimentazioni dei maggiori compositori del periodo: il cromatismo di derivazione wagneriana e la conseguente creazione di aggregati armonici “sospesi”, l'utilizzo di impianti scalari di derivazione debussiana, le scale ottatoniche e il gusto per la sovrapposizione politonale di derivazione stravinskiana trovano in Puccini ampia applicazione e, soprattutto, originalità di rielaborazione.

La relazione proposta ha l'intento di illustrare alcuni dati emersi dalla comparazione di procedimenti armonici utilizzati da Puccini, con particolare riferimento all'uso di scale ed accordi di tipo esatonale, al fine di dimostrare come tali strutture armoniche possano presentarsi sia come applicazione di moduli scalari di matrice debussiana, sia come esasperazione del cromatismo di tipo wagneriano. La presenza di impianti armonici di differente derivazione è considerata in relazione al significato che di volta in volta l'utilizzo di una certa struttura accordale può assumere all'interno del contesto drammaturigico. Da questa indagine risulta una particolare cura da parte di Puccini nell'utilizzo dell'elemento armonico finalizzato all'assunzione di determinati significati drammatici, con la conseguente creazione di una sorta di “simbolismo armonico”.
L'attenzione si rivolgerà principalmente all'analisi di esempi tratti da Manon Lescaut e da Madama Butterfly, attraverso la “messa in serie” di varie situazioni drammatiche caratterizzate da procedimenti armonici affini e la conseguente valutazione degli esiti che la creazione di tali relazioni comportano sul piano dell'espressione drammatico-musicale.


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Takashi Yamada

Il sistema di produzione del recitativo nella seconda metà del Settecento a Napoli: il caso di Giuseppe Benevento (floruit 1766-1797)

Il recitativo secco ha sempre avuto un ruolo importante nelle rappresentazioni operistiche, sebbene non sia mai stato ascoltato dal pubblico con particolare attenzione, né considerato come arte “sublime” per gli studiosi. Difatti, le ricerche sul recitativo dell'opera italiana, si limitano a pochi casi riguardanti Pergolesi, Händel e Verdi: in tutti questi casi i materiali relativi furono realizzati dagli autori stessi e conservati in forma d'autografi. Nella quasi totalità della produzione operistica del Settecento, invece, non è possibile identificare il vero autore delle parti con recitativi, e generalmente li attribuiamo al lavoro dei “vari copisti” nonostante le numerose testimonianze dimostrano come questi siano in realtà vere composizioni originali, ossia “autografi” di un terzo maestro.

La mia ricerca ha potuto documentare il nome e il lavoro di un maestro del recitativo di Napoli, dai pagamenti effettuati dagli impresari dei teatri pubblici napoletani, e poi rintracciando la scrittura di questo negli autografi dei compositori partenopei conservati presso il Conservatorio di Napoli. In almeno 80 autografi su 200 visionati di dramma per musica o commedia per musica di Piccinni, Paisiello, Cimarosa e Tritto ho potuto identificare la stessa scrittura nelle parti del recitativo. Questo umile e costante “collaboratore” di così grandi compositori si chiamava Giuseppe Benevento, autentico “artigiano” della composizione attivo a Napoli dal 1766 al 1797.

Questa particolare forma di “coproduzione” nella composizione di ampie porzioni di partiture operistiche sarà verificata esaminando le opere fatte per “l'estero”: mi è stato possibile provare, infatti, che Benevento intervenne spesso in opere come Giannina e Bernardone (Venezia, 1781) e Volodimiro (Torino, 1787) di Cimarosa, e L'Annibale in Torino (Torino, 1772) di Paisiello. A parte il talento di Benevento, sembra che l'intero “sistema produttivo” di cui questo artigiano napoletano fu protagonista, sia stato apprezzato ed anche imitato in molte città italiane. Questa ricerca ci aiuta dunque a comprendere più in profondità i complessi e ancora per molti versi inesplorati meccanismi che regolavano l'allestimento di un'opera e le sue riprese anche molto lontano da Napoli.


Resoconto

Si è svolto presso l'Università degli Studi "Gabriele D'Annunzio" di Pescara e Chieti (sede di Chieti) e il Conservatorio di Musica "Luisa D'Annunzio" di Pescara dal 26 al 28 ottobre 2007 il Quattordicesimo Convegno Annuale della Società Italiana di Musicologia. Il convegno è stato realizzato con il contributo di Provincia di Pescara, Comune di Pescara, CariChieti, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e Istituto Nazionale Tostiano di Ortona.

Il convegno si è aperto nella sala Bellisario del Conservatorio di Pescara con i saluti del direttore del Conservatorio Enrico Perigozzo e il presidente della SIdM Guido Salvetti. Al termine dei saluti hanno preso avvio le due sessioni mattutine della giornata nella Sala Bellisario e nella sala studio ad essa attigua (sala B). Nella prima sala, la sessione, presieduta da Teresa M. Gialdroni, si è aperta con la relazione di Sarah M. Iacono Il 'Pirro e Demetrio': fonti note e sconosciute tra Napoli e il Nord Europa. La relazione ha trattato le varie fonti dell'opera di Alessandro Scarlatti, che rappresentata per la prima volta al Teatro S. Bartolomeo di Napoli nel 1694 godette di grande successo in tutta Italia e anche a Londra. Le partiture manoscritte di cui si conosceva l'esistenza erano, sino ad ora, due: una napoletana, l'altra custodita in Belgio, nella Bibliotheque Royale di Bruxelles. Il rinvenimento di una terza partitura, proprietà dei Bozzi-Colonna (antica famiglia dell'aristocrazia salentina), attualmente nel fondo omonimo della biblioteca del Conservatorio "T. Schipa" di Lecce, ha permesso di focalizzare alcuni elementi che hanno evidenziato aspetti di controversa interpretazione anche rispetto ai documenti già noti: datazione e relativa cronologia delle rappresentazioni, funzione, provenienza e contesti di realizzazione delle copie nonché rapporti con le edizioni a stampa delle musiche e del libretto.

Alla relazione della Iacono è seguita quella di Christine Siegert, Relazioni intertestuali ne 'La finta giardiniera' che prende le mosse dal fatto noto che Mozart utilizzò, per il suo dramma giocoso La finta giardiniera (Monaco 1775), il libretto scritto per l'opera omonima di Pasquale Anfossi, rappresentata solo un anno prima al Teatro delle Dame di Roma. Si ignorava invece, finora, che anche il librettista (anonimo) dell'opera anfossiana si servì a sua volta di un modello distinto per creare la scena della cavatina "Un marito, oh dio, vorrei". La detta cavatina è composta di due strofe: la prima è cantata dalla cameriera Serpetta, la seconda è eseguita da Nardo, imitando la cameriera. Le due strofe sono interrotte da un piccolo recitativo. Nell'intermezzo Amore e musica di Marcello di Capua, messo in scena ancora un anno prima nel carnevale 1773 al Teatro Valle di Roma, si trova una cavatina con un testo in gran parte identico, similmente composta di due strofe, anch'esse interrotte da un recitativo. Da un confronto delle tre versioni della scena risultano forti affinità, dimostrando come anche le opere dei compositori più noti non possono essere interamente concepite senza la conoscenza della produzione dei loro contemporanei oggidì quasi completamente dimenticati.

Carmela Bongiovanni, con la relazione Ancora sugli oratori di Luigi Boccherini: osservazioni sulle fonti musicali superstiti ha evidenziato come nonostante l'esistenza del catalogo di Yves Gérard, a tutt'oggi gli studi sulle fonti musicali di Boccherini siano ancora in una fase solo introduttiva. Per quanto concerne i due oratori Gioas (G. 537) e Il Giuseppe riconosciuto (G. 538), certamente le due fonti manoscritte degli oratori di Boccherini conservate in I-Gl sono di origine genovese: ciò si rileva non solo da quanto appare sul frontespizio di entrambi, ma anche dalla loro filigrana. I manoscritti furono vergati in un arco di tempo compreso nella settima decade del '700 per i padri dell'Oratorio di S. Filippo Neri di Genova, come indicato sugli ormai famosi frontespizi. Ogni elemento paratestuale indica con chiarezza che i due manoscritti furono approntati per una esecuzione genovese degli oratori boccheriniani.

A seguire l'intervento di Takashi Yamada, Il sistema di produzione del recitativo nella seconda metà del Settecento a Napoli: il caso di Giuseppe Benevento (floruit 1766-1797): nella quasi totalità della produzione operistica del Settecento non è possibile identificare il vero autore delle parti con recitativi, che generalmente vengono attribuiti al lavoro dei 'vari copisti' nonostante le numerose testimonianze dimostrino come questi siano in realtà vere composizioni originali. La ricerca di Yamada ha documentato il nome e il lavoro di un maestro del recitativo di Napoli, Giuseppe Benevento, dai pagamenti effettuati dagli impresari dei teatri pubblici napoletani alla scrittura di questo negli autografi dei compositori partenopei conservati presso il Conservatorio di Napoli. In almeno 80 autografi su 200 visionati di opere di Piccinni, Paisiello, Cimarosa e Tritto si sono identificati la stessa scrittura nelle parti del recitativo. La ricerca aiuta dunque a comprendere più in profondità i complessi e ancora per molti versi inesplorati meccanismi che regolavano l'allestimento di un'opera e le sue riprese anche molto lontano da Napoli.

Ha chiuso la I sessione la relazione di Elisabetta Cagni La didattica del violoncello nel XIX secolo. Il Metodo di Bernhard Romberg: la studiosa ha analizzato e tradotto in lingua italiana la Violoncell Schule di Romberg (1767-1841), scritta nel 1840 ed edita l'anno successivo, contestualizzandola all'interno del mondo culturale e musicale dell'epoca. Il trattato può essere considerato uno dei più completi del suo tempo anche perché l'autore, grazie alla sua longevità e alla lunghissima carriera concertistica, ebbe modo di vivere in prima persona gli anni fondamentali dell'evoluzione del violoncello. La Violoncell Schule si divide in due parti distinte: la prima si occupa degli elementi essenziali per suonare il violoncello, la seconda affronta argomenti più complessi come la scelta delle chiavi, colpi d'arco, risoluzione degli abbellimenti ed elementi di prassi esecutiva ed estetica musicale. L'importanza del metodo di Romberg, in Italia pressoché sconosciuto, consiste in una articolata struttura che, a differenza di altri manuali coevi, tocca approfonditamente tutti gli aspetti del violoncello, non solo quelli tecnicamente più complessi ma anche quelli riguardanti la liuteria, i giovani studenti e gli amatori.

In contemporanea si è svolta nella sala B la II sessione del convegno presieduta da Rosy Moffa che si è aperta con Max Klinger, Johannes Brahms, and the Challenge of the 'Gesamtkunstwerk': Revisiting Klinger's 'Brahms-Phantasie' (1894) di Kevin Karnes. La relazione si è soffermata sui 41 disegni e incisioni di Max Klinger che compongono la sua Brahms-Phantasie, in cui sono riportate anche le partiture di sei brani vocali di Brahms; in particolare la domanda su cui si è soffermato lo studioso è per quale motivo Klinger abbia scelto Brahms – notoriamente all'epoca considerato un conservatore – per supportare la sua opera d'arte: la ricerca ha dato lo spunto per riflettere sulla rivoluzione delle arti che Wagner operò proprio in quel periodo.

Vitale Fano, con «Lasciar la musica nuda». Tracce di un rapporto fra Gabriele d'Annunzio e Guido Alberto Fano nei primi anni del Novecento, si è soffermato su alcuni documenti presenti nel fondo musicale del musicista, conservato presso l'Archivio Fano di Venezia, che testimoniano del rapporto fra d'Annunzio e il compositore padovano. La ricerca su tali documenti, e su altri conservati al Vittoriale, la loro analisi e contestualizzazione, ha inteso chiarire alcuni aspetti fra il poeta e l'ambiente bolognese della cerchia di Fano, e comprendere il senso di queste indicazioni, e quindi il pensiero del poeta, alla luce della veste grafica definitiva della Francesca da Rimini.

Dopo l'intervento di Vitale Fano è seguito quello di Beatrice Birardi, Musiche composte per i documentari d'epoca fascista, che ha indagato lo specifico repertorio musicale legato ai documentari della prima metà del Novecento attraverso la schedature dei documenti presenti nell'archivio storico dell'Istituto LUCE e negli archivi storici di alcune fra le maggiori industrie operanti all'epoca; parallelamente si è condotto lo studio sulle partiture, sulle riviste cinematografiche dell'epoca e in tutti quei documenti utili ad approfondire gli aspetti legati alla genesi e alla ricezione di tale repertorio. La funzione dell'elemento musicale risulta essere di fondamentale importanza: il sonoro musicale viene utilizzato in un rapporto di costante metonimia rispetto all'immagine, ne vengono sfruttate le capacità semantiche, in modo tale da amplificare il senso del mostrato e spingerlo al di là del suo riferimento immediato.

Alice Meregaglia con Un inedito di Malipiero: 'Ricercar toccando' (1959) si è soffermata sull'analisi di Ricercar toccando, brano pianistico ancora oggi inedito, rimasto sconosciuto per oltre trent'anni e riemerso solo sul finire degli anni Novanta, che si presta a mettere in luce alcuni presupposti del linguaggio malipieriano. Inoltre la breve ma complessa composizione, con le sue caratteristiche di unità, di compattezza ma anche di imprevedibile varietà, riassume emblematicamente in sé gli atteggiamenti musicali cui Malipiero ha aderito durante la sua attività compositiva.

Ha chiuso la sessione la relazione di Irna Priore The Darmstadt Influence in Luciano Berio's Serial Works, che ha analizzato tre lavori seriali di Berio che risentono dell'influenza di Darmstadt: Allelujah I (1956), Sequenza I per flauto (1958) e Différences per 5 strumenti e nastro magnetico (1959). In particolare Sequenza I fu scritta per Severino Gazzelloni durante la famosa visita di John Cage a Darmstadt e Différences utilizza e mixa suoni acustici ed elettronici. Sono lavori che lo stesso Berio definisce "seriali", anche se in realtà, sostiene la studiosa, non lo sono in senso stretto perché il compositore è influenzato nella sua scrittura anche dall'idea di open work e dalla manipolazione elettronica dei suoni.

Dopo la pausa pranzo i lavori sono ripresi nel pomeriggio con la III e IV sessione. La III, che si è svolta nella Sala Bellisario è stata presieduta da Mario Baroni: la prima relazione in programma è stata quella di Vasilis Kallis (Non-diatonic modality as an agent of modified tonality in Ravel's 'Jeux d'eau') che si è soffermato e ha analizzato l'uso del metodo non-diatonico impiegato in Jeux d'eau di Ravel. A seguire l'intervento di Marco Moiraghi, Hindemith 1919-1924: definizione di uno stile, che ha indagato sui primi sei anni della Repubblica di Weimar, subito dopo la fine della Grande Guerra, che sono stati per Paul Hindemith (1895-1963) – come del resto per molti altri artisti tedeschi della sua generazione – un particolarissimo momento di crescita e maturazione: è una fase caratterizzata da uno sprigionamento incontenibile di forze, di aspirazioni, di tensioni. La relazione ha messo a fuoco le principali tappe dello sviluppo artistico di Hindemith di quel periodo, collegando gli eventi della vita del compositore al loro peculiare contesto politico, sociale e culturale. Sono state prese in considerazione anche partiture di notevole importanza tutte comprese nel periodo 1919-1924, che danno il senso della definizione di uno stile assai personale, realizzatosi poi con perfetta compiutezza nella grande opera teatrale della metà degli anni Venti, Cardillac.

Davide Ceriani con la relazione 'Two masses are singing': la musica di Charles Ives e gli 'outdoor religious meetings' del New England fra il tardo diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, ha indagato le idee di Ives sul concetto di massa nel periodo precedente al 1917-1918, e come queste poterono influenzare la sua produzione musicale. Ives rimase sempre affettivamente legato alle sue esperienze infantili e adolescenziali, in particolare ai ritrovi religiosi collettivi all'aperto che si tenevano nel New England ed ai quali lui ed i suoi familiari spesso partecipavano. Le masse religiose che intervenivano ai cosiddetti outdoor meetings ispirarono la sua musica negli anni compresi fra la fine dell'Ottocento e l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Esse rappresentavano un'idea di purezza e tradizione che gli sconvolgimenti economico-sociali della prima guerra mondiale alterarono sensibilmente. Ceriani si è soffermato su tre pezzi che più di altri contengono significative connessioni con i ritrovi religiosi all'aperto quali String Quartet n. 1 e due brani per voce e piano, The Camp Meeting e At the River.

Testo, musica, immagine. Riflessioni su temi e figure di 'The wall' dei Pink Floyd è stato il titolo della relazione di Andrea Del Castello, che ha svolto un'analisi su The wall, attraverso concomitanti sguardi al testo linguistico, all'aspetto sonoro (musica e rumori) e all'aspetto visivo, cioè tre facce di un'unica opera, concepita fin dall'origine come polimorfica: in effetti essa è, a un tempo, disco, film e rappresentazione dal vivo. L'autore ha cercato di giungere a delle conclusioni che da un lato stimolino il proseguo degli studi su un caposaldo della storia del rock, ma dall'altro contribuiscano soprattutto a sostenere l'importanza dell'analisi in contemporanea delle tre componenti che costituiscono l'opera nella sua unitarietà: testo, musica e immagine.

L'intervento di Christian Storch (Alfred Schnittke's Early Works. 'The Symphony No 0', the 'Violin Concerto No 1' and 'Nagasaki') ha chiuso la sessione pomeridiana della Sala Bellisario. Storch si è soffermato sui primi lavori di Schnittke che ad oggi non sono mai stati studiati in modo sistematico, in particolare sui tre che sono riportati nel titolo della sua relazione scritti per il diploma di composizione al Conservatorio di Mosca nel 1958. Tutte e tre le composizioni si caratterizzano per un linguaggio musicale espressionista e tonale e hanno in sé elementi che saranno poi ripresi nelle sue opere della maturità.

Nella sala B si è svolta in contemporanea la IV sessione presieduta da Francesca Seller. Il primo intervento è stato quello di Elena Bugini (La presunta divagazione di un maestro di tarsia sul versante liutario: la lira da braccio supposta di Giovanni d'Andrea (Verona, 1512) al Kunsthistorisches Museum di Vienna) che ha posto chiarezza su un curioso equivoco creato dagli indici di un testo fondativo dell'iconografia musicale come Musical Instruments and their Symbolism in Western Art di Emanuel Winternitz (Londra 1967 e Londra-New Haven 1979): il caposcuola dell'intarsio rinascimentale fra' Giovanni da Verona non è Giovanni d'Andrea veronese, presunto autore della lira antropoide di provenienza Obizzi oggi presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna (C.94 SAM Inv.No.89). Partendo da questa confutazione preliminare, l'indagine sviluppa diverse riflessioni inedite: l'autentico valore di questa lira da braccio non risiede tanto nella sua antichità e nel suo essere unico reperto noto di un liutaio altrimenti sconosciuto, quanto piuttosto nel suo riflettere in modo formalmente mirabile una tendenza tipica dell'artigianato musicale e molti tratti della cultura della Rinascenza veneta.

Giovanni Paolo Di Stefano con l'intervento Liutai, violari, chitarrari e cembalari a Palermo nei secoli XVI-XVIII, ha illustrato i risultati emersi dalle ricerche condotte nel corso degli ultimi anni presso l'Archivio di Stato e l'Archivio Diocesano di Palermo, sui fabbricanti di strumenti musicali attivi nella capitale siciliana tra Cinquecento e Settecento. L'indagine archivistica ha infatti permesso l'identificazione di un numero assai significativo di liutai, violari, chitarrari, cembalari del tutto ignoti ai repertori bibliografici e l'acquisizione di inedite informazioni su alcune delle principali tipologie strumentali prodotte in Sicilia nel periodo in oggetto. Attraverso l'analisi delle fonti documentarie e l'esame di alcuni antichi strumenti musicali palermitani, si è cercato di appurare le relazioni intercorse in questo ambito con altri centri italiani (Venezia, Roma, Napoli) e di delineare alcuni degli aspetti più significativi di una tradizione costruttiva fino ad oggi del tutto sconosciuta.

Sul tema della liuteria si è soffermato anche Luigi Sisto con la relazione Aspetti sociali e sistema produttivo liutario a Napoli tra Cinque e Seicento. La Confraternita di Santa Maria dell'Anima dei Tedeschi: storia, vita sociale, attività corporativa (1586 – 1717); lo studioso ha analizzato il sistema produttivo liutario a Napoli tra Cinque e Seicento, facendo luce sull'attività dei costruttori di strumenti musicali di origine tedesca, per lo più appartenenti alla corporazione di Füssen, protagonisti di una massiccia immigrazione, una vera e propria Volkswanderung, già registrata in altri centri (Venezia, Roma, Genova, Bologna ecc.) e indagata per la prima volta in ambito napoletano. La ricerca, sostanzialmente orientata verso una ricostruzione sistematica delle vicende biografiche ma soprattutto artistiche, trova precise conferme e riscontri significativi, grazie alla consultazione del fondo archivistico e documentario della Chiesa di Santa Maria dell'Anima dei Tedeschi in Napoli, fino ad oggi ritenuto perduto. I dati emersi hanno favorito una ricostruzione delle attività e della vita sociale dei congregati, e precisato il ruolo nell'ambito del più generale contesto delle corporazioni di arti e mestieri e delle congregazioni di musici attive a Napoli tra Cinque e Seicento.

Paola Carlomagno (I costruttori milanesi di strumenti musicali nella "Guida commerciale Savallo") si è soffermata sulla pubblicazione del 1877 Guida amministrativa commerciale ed industriale della città di Milano a cura di Gaetano Savallo, rivolta espressamente, come recita la nota introduttiva, «a chiunque ha affari commerciali e amministrativi in questa città». Si tratta di un primo tentativo da parte di Savallo di catalogare le attività e i prodotti commercializzati nel centro lombardo. Le novità del sistema redazionale adottato permettono di identificare in questa Nuova Guida l'antenato storico delle attuali Pagine Gialle e consentono, attraverso la consultazione delle categorie inerenti agli strumenti musicali, di ricostruire con dovizia di particolari la carriera commerciale di numerosi costruttori milanesi.

Nicola Tacchinardi: tenore, figurinista, 'metteur en scène' è il titolo della relazione di Paolo Mechelli, che ha incentrato il suo lavoro sulla figura del tenore Nicola Tacchinardi (Livorno 1772 – Firenze 1859). Dall'esame delle sue lettere conservate nell'Archivio Lanari della Biblioteca Nazionale di Firenze infatti, emerge chiaramente che il tenore, oltre a svolgere la propria carriera di cantante, diviene personaggio fondamentale afferente al retroscena dell'impresario marchigiano, sostenendolo e sollecitandolo con idee, consigli, ammonimenti ed opinioni di ogni sorta, grazie al fiuto e alla grande esperienza teatrale. Dai circa quindici documenti epistolari si ha la possibilità di venire a conoscere illuminanti riflessioni in particolare su voci, tecnica di declamazione, brani cantati di maggior gradimento, vestiario, scenografia e messa in scena: tutti elementi teatrali estremamente significativi, letti e interpretati da Tacchinardi soprattutto dal punto di vista della loro sinergia come pure dell'effetto sortito sullo spettatore. La sagacia delle riflessioni dell'uomo teatrale livornese è altresì attestata e corroborata parallelamente in sede teorica dal suo trattato Dell'Opera in musica: sul teatro italiano e de' suoi difetti (Firenze 1833).

Ultima relazione della giornata è stata quella di Antonio Caroccia, "Sono ormai diventato il maestro dell'articolo quattro": Camillo De Nardis fra tradizione e futuro. Caroccia si è soffermato sulla figura di Camillo De Nardis (1857-1951), insegnante di due generazioni di musicisti; la sua profonda conoscenza tecnica e la sua versatilità furono dedicate alla formazione di menti inesperte in un periodo di radicale trasformazione dell'esperienza sonora e del gusto artistico. Egli ebbe la fortuna di essere contemporaneo di Mercadante e Debussy, di Verdi e Stravinskij, di Wagner e di Schönberg. Solo ora, grazie alla recentissima donazione, da parte degli eredi alla biblioteca del Conservatorio "San Pietro a Majella" di Napoli, di inediti documenti sulla vita e sulle opere del compositore abruzzese si aprono nuovi spiragli d'indagine sulla formazione, sul processo compositivo e sulla attività didattica dell'ultimo epigono della tradizione compositiva napoletana.

Nella serata di venerdì, presso il Museo di Arte Moderna "Vittoria Colonna" di Pescara, il Comune e la Provincia di Pescara hanno invitato i convegnisti a un ricordo di Ildebrando Pizzetti, cittadino onorario della città con gli interventi di Guido Salvetti, presidente della SIdM e della studiosa Chiara Coppa Zuccari.

La giornata del 27 ottobre si è svolta a Chieti, presso la sede dell'Università di Pescara con due sessioni parallele di mattina, una presso l'Aula Magna del Rettorato (V sessione) l'altra all'Aula Magna della Facoltà di Lettere (VI sessione). La V sessione presieduta da Agostino Ziino si è aperta con la relazione di Lois Musmann, Structure and Centonization in the Fleury Playbook che ha analizzato la ricorrenza di celle motiviche nel canto di cinque drammi liturgici medievali nel Fleury Playbook, manoscritto del XIII secolo ora depositato nella Bibliotheque municipale di Orleans, considerato un unicum per la sua musica e i suoi testi di dieci drammi liturgici medievali di lunghezza varia che trattano diversi temi fra cui i miracoli di San Nicola.

La relazione Il supplemento musicale agli 'Amours' di Pierre de Ronsard (1552-1553): nuove acquisizioni sul contesto editoriale di Luigi Collarile e Daniele Maira, si è soffermata sul supplemento musicale agli Amours di Pierre de Ronsard di cui esistono due diverse edizioni, entrambe finora attribuite all'officina parigina di Nicolas Du Chemin. Un attento riesame dei materiali bibliografici ha permesso però di ridefinire in maniera sostanziale il contesto in cui collocare il loro allestimento, a partire dall'identificazione di due diversi stampatori musicali. Emerge così un quadro, nel quale riconsiderare complessivamente il rapporto tra le due edizioni del supplemento musicale e quelle della parte poetica, apparse rispettivamente nel 1552 e nel 1553, in grado di fornire diversi risvolti inediti sul contesto nel quale gli Amours di Ronsard e il suo supplemento musicale sono stati concepiti.

A seguire la relazione di Mariacarla De Giorgi, Alipio e la ricezione della teoria notazionale greca nella cultura musicale del Rinascimento, con la quale la studiosa ha cercato di ricostruire sulla base di importanti e finora inedite fonti manoscritte un quadro storico-culturale il più dettagliato possibile di quello che fu il contributo di Alipio alla ricostruzione della "musica antica" nei circoli eruditi del Rinascimento europeo. Partendo dal carteggio intrattenuto da Girolamo Mei con Vincenzo Galilei e con Giovanni Bardi si tracceranno le tappe fondamentali di un difficile percorso, che attraversò due secoli cruciali nello sviluppo della storia della musica, come il XVI e XVII, coinvolgendo le forze intellettuali in accese dispute tra i dotti fautori della "musica antica" e i "riformisti" sostenitori della "musica moderna". L'ambizioso tentativo di riscoprire a pieno la musica dei Greci, porterà importanti teorici italiani ed europei da Zarlino a Mersenne fino a Kircher ad un approccio diretto con Alipio e le sue preziose tavole di notazione.

La Frottola sacra napoletana nel primo Seicento: nuove acquisizioni è il titolo dell'intervento di Alberto Mammarella: pur essendo un unicum del repertorio sacro napoletano, la frottola non è stata mai indagata a fondo. Attraverso l'analisi delle frottole contenute nel manoscritto MS.51 conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Musica "San Pietro a Majella" di Napoli e quelle pubblicate a stampa nel 1621 da Orazio Giaccio, sono state presentate e discusse le caratteristiche musicali e testuali proprie del genere. La valutazione dei testi poetici intonati ha fornito i connotati propri della frottola e ha svelato la stretta relazione con l'inno. Il quadro che è emerso mostra, infatti, la persistenza nel primo Seicento a Napoli di alcuni testi innodici di tradizione medioevale che non trovano ufficializzazione nel Breviario e che continuano ad essere utilizzati, pur privati, però, della propria funzione di inno.

La V sessione si è conclusa con la relazione di Peter S. Poulos, Intertextuality and Design in the 'Madrigali a cinque voci' of Simone Molinaro. Pubblicati a Loano nel 1615 i Madrigali a cinque voci con partitura di Molinaro sono stati recentemente scoperti dando nuova luce alle composizioni del musicista genovese, con considerevoli cambiamenti di stile rispetto alla sua produzione giovanile: in questa edizione non mancano cromatismi e dissonanze, frammenti ritmici omofonici, etc. che saranno ripresi nelle musiche tardo secentesche e di primo Settecento di compositori come Marenzio, Frescobaldi, Dering e altri; la relazione è stata supportata dall'analisi della musica e del testo dei madrigali con riferimenti al contesto storico-sociale dell'epoca.

In contemporanea si svolgeva presso l'Aula Magna della Facoltà di Lettere la VI sessione presieduta da Licia Sirch che si è aperta con la relazione di Pinuccia Carrer, Maria Teresa Agnesi e le altre: presenze femminili nel fondo Noseda della biblioteca del Conservatorio di Milano. La Carrer ha presentato i primi risultati di un progetto di ricerca avviato nell'a.a. 2006-07, nell'ambito del corso di storia ed estetica della musica per il biennio di clavicembalo. Partendo da Maria Teresa Agnesi (Milano, 1720-1795), presente nel Fondo Noseda con due importanti composizioni manoscritte, si è deciso di allargare la ricerca e di vedere quali e quante fossero le presenze femminili: compositrici, interpreti, dedicatarie, editrici, etc. Iniziando un sistematico controllo si è aperto un mondo; un primo risultato è stato la scoperta di composizioni inedite di cui ha parlato Francesca Rivabene nel suo contributo Elena Viscontini, compositrice e allieva. L'interesse musicale del lavoro ha dato l'idea di costituire un database ricercabile, elaborato in collaborazione con l'Ufficio Ricerca Fondi Musicali e in accordo con la biblioteca del Conservatorio, che consente di collegare i nomi fra loro e con i documenti, evidenziandone le relazioni.

Dopo l'intervento della Carrer, è stata la volta di Matteo Mainardi con La collezione di libretti della Società Storica Lombarda. Addenda al Catalogo Sartori e nuove considerazioni sulle collezioni private nobiliari milanesi: La Società Storica Lombarda, fondata da Cesare Cantù il 12 dicembre 1873, rappresenta una delle più significative istituzioni culturali milanesi: nella sua sede sono custoditi una biblioteca e una serie di fondi archivistici di notevole importanza, per la maggior parte formatisi grazie a donazioni di nobili e importanti famiglie milanesi, fra cui una collezione di libretti che consta complessivamente di 39 esemplari: il libretto più tardo risale al 1676, il più recente al 1815. La collezione non è stata censita da Claudio Sartori e quindi tutti i libretti rintracciati risultano esemplari non presenti in catalogo; se per molti di questi il loro reperimento semplicemente significa la segnalazione di ulteriori testimoni di libretti già censiti, va sottolineato come per ben circa dieci titoli (tutti libretti di soggetto sacro) si tratta di edizioni non indicate da Sartori e quindi ci si trova davanti a dei testimoni unici, mai prima segnalati.

Gianfranco Miscia ha presentato la sua relazione Caratteristiche e problematiche di un archivio di musica. L'inventario del fondo Francesco Paolo Tosti dell'Istituto Nazionale Tostiano di Ortona, in cui ha evidenziato le scelte metodologiche che sono state adottate per archiviare nel modo più funzionale la documentazione del fondo Tosti. L'inventario dell'archivio Francesco Paolo Tosti ha posto una serie di problematiche cui si è cercato di dare risposta. Del lavoro e delle scelte fatte in funzione della realizzazione dell'inventario che per la sua importanza sarà pubblicato dalla Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i beni e le attività culturali, si è reso conto nel convegno. Il relatore ha auspicato che l'esperienza fatta possa essere condivisa e servire per realizzare gli inventari di altri archivi di musicisti.

Elsa De Luca e Valentina Marangi hanno relazionato insieme su Il sito web, i materiali e gli strumenti di consultazione del Progetto RAPHAEL – Rhytmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant: computerized census and integral restoration of a neglected musical repertoire [RAPHAEL project]. Il Progetto RAPHAEL si occupa del censimento, della descrizione e della riproduzione fotografica digitale delle fonti musicali italiane e dei trattati teorici che testimoniano l'esecuzione ritmica o la scrittura mensurale nel canto gregoriano. Il progetto, i cui inizi si possono far risalire agli anni '90, è andato lentamente crescendo e nel 2004, coordinato da Marco Gozzi, ha consentito di estendere gli studi e di consolidare i risultati delle ricerche, contribuendo a restituire agli studiosi un corpus riconosciuto oggi di primaria importanza per lo studio della musica italiana ed europea dei secoli XIV-XVIII. Rientravano fra i compiti del progetto la progettazione e la realizzazione del sito web riguardante le riproduzioni dei libri liturgici, gli studi e i materiali dedicati ai Kiriali italiani: la pubblicazione in rete su un dominio proprio (www.cantusfractus.org) e la realizzazione di un database interrogabile attraverso differenti chiavi di ricerca, consentono oggi di offrire i frutti ormai consolidati di un lavoro che non può dirsi di certo concluso, ma che offre già importanti risultati e significativi spunti per nuovi studi e nuove conoscenze.

La relazione Le 'Melodie popolari' del fondo Righi presso la Biblioteca Comunale di Verona di Marcello Conati ha presentato i risultati della ricerca su quattro fascicoletti di Melodie popolari di 16 pagine ciascuno, contenenti 122 trascrizioni musicali, appartenenti al fondo Righi della Biblioteca comunale di Verona. Di esse, poco più di una ventina riguardano inni nazionali e canti patriottici, alcune melodie di area colta o melodie popolari di aree geografiche straniere. Il rimanente, cioè oltre una novantina di testi musicali, riguarda canti popolari veronesi. Una lettera di un conoscente di Righi, relativa alla copiatura dei 4 fascicoletti, datata "Torino 12 febbraio 1873", consente di stabilire il termine ante quem al 1872. Il termine post quem può essere fissato intorno al 1866. Si tratta in ogni caso della più grande raccolta di musiche popolari ottocentesche dell'Italia settentrionale.

Alla relazione di Conati è seguita quella di Teresa Camellini Identità vocale e musica di tradizione orale. Un itinerario di riflessioni e proposte. Le fonti sonore analizzate fanno riferimento a una ricerca effettuata dal 1969 al 1982 in Valpolicella e in Lessinia (VR) da Marcello Conati, e di recentissime registrazioni effettuate a Fumane (VR) di canti della tradizione, eseguiti dagli stessi portatori degli anni 1969-1982. L'intervento della Camellini ha riguardato in modo particolare l'oralità della poesia cantata e si è proposto di concepire il 'gesto orale' anche in termini non storici. Il contributo si è presentato, pertanto, come un insieme di ragionamenti intorno ai canti di tradizione orale con particolare riferimento al 'soggetto voce', ovvero a quei valori che l'identità vocale trasferisce come entità al patrimonio culturale musicale.

Nel pomeriggio di sabato, alle ore 16 presso l'Aula Magna del Rettorato si è svolta l'Assemblea annuale dei soci della SIdM cui è seguita la tavola rotonda "La situazione degli insegnamenti musicologici nelle Università e nei Conservatori", a cura di Teresa Chirico e Guido Salvetti, con l'intervento di Daniele Ficola membro del Gruppo di lavoro congiunto CNAM – CUN del Ministero dell'Università e della Ricerca. Il tema della tavola rotonda è nato dalle trasformazioni in atto che aprono più di una prospettiva per il riconoscimento di uno specifico ruolo delle discipline musicologiche nei percorsi dell'alta formazione, ma che richiedono una costante attenzione affinché si salvaguardino competenze e funzioni, e con esse quantità e qualità di tali insegnamenti. Per l'occasione la SIdM ha messo a disposizione un dossier, introdotto da un documento del Presidente della SIdM e contenente i dati raccolti da Teresa Chirico e da Ala Botti Caselli relativi alla situazione degli insegnamenti storico-musicali e teorico-musicali nelle diverse Facoltà universitarie e nei diversi piani di studio dei Conservatori. Il dossier confluirà nella sezione "Documenti" del sito .

La tavola rotonda si è posta come ideale continuazione con il dossier sugli insegnamenti musicologici nelle Università, presentato in occasione dell'Assemblea del 1995 a Rimini, e del censimento riguardante Università e Conservatori che, a cura di Ala Botti Caselli, trova uno specifico spazio nel sito della SIdM (www.sidm.it).

In serata presso l'Istituto Nazionale Tostiano di Ortona, Palazzo Corvo, i convegnisti sono stati accompagnati a una visita presso l'Istituto cui è seguito il concerto dell'Ensemble Accademia degli Orfei con musiche di Matteo Capranica e Domenico Scarlatti.

L'ultimo giorno di convegno si è svolto di nuovo a Pescara, in Conservatorio, domenica 28 ottobre. Alle ore 9.30 ha preso avvio presso la Sala Bellisario la VII sessione presieduta da Biancamaria Antolini. La prima relazione è stata quella di Valentina Liberatore (Un'inedita «favola cantata» nella Roma del primo Seicento) che ha dato notizia di un'opera sconosciuta ai repertori musicali emersa da una fonte miscellanea del Fondo Ferrajoli della Biblioteca Apostolica Vaticana: si tratta di una stesura in versi intitolata Amore tormentato di Girolamo Bartolomei già Smeducci (1584-1662) "gentilomo fiorentino", Accademico della Crusca e Accademico Umorista di Roma. Come chiarito dal frontespizio, si tratta di una "favola cantata nelle Noze degl'eccellentissimi signori sposi, Prencipe, et Prencipessa di Sulmona", rappresentata in occasione del matrimonio tra i due, al secolo Marc'Antonio Borghese e Camilla Orsini, celebrato sontuosamente a Roma da papa Paolo V il 20 ottobre 1619 nella Cappella del Palazzo di Monte Cavallo. Il ritrovamento (solo del libretto, la musica e il nome del compositore non sono pervenuti) contribuisce inoltre a dettagliare il contesto e gli apparati celebrativi legati a queste nozze, fino ad ora generalmente associate alla rappresentazione di La morte d'Orfeo di Landi e alla ripresa in versi della tragedia con cori Erotilla di Giulio Strozzi.

Silvia De Maria (Le dodici cantate di Rosanna Scalfi nel manoscritto A.MS.3819 dell'accademia di Santa Cecilia) ha relazionato sulle 12 cantate di Rosanna Scalfi, una donna d'umili origini che divenne la moglie di Benedetto Marcello dopo esserne stata l'allieva prediletta. Le notizie biografiche che ci sono pervenute sono poche; nelle biografie settecentesche dedicate a Benedetto Marcello si racconta che il musicista veneto, udendo per caso cantare Rosanna, rimase così colpito dalle sue doti canore da volerle impartire lezioni gratuitamente. Il manoscritto A.MS. 3819 è l'unica fonte nota di questa raccolta di cantate; l'esemplare è una copia di fine XVIII secolo, mentre l'autografo non c'è pervenuto. Catalogate da Eleanor Selfridge-Field, le cantate non hanno mai ricevuto un'edizione moderna. Marco Bizzarini con una pubblicazione su Benedetto Marcello (2006) ha contribuito a fare luce sulla figura della Scalfi: le 12 cantate sono state composte negli anni venti del Settecento, probabilmente sotto la guida di Marcello. Esse pongono diversi problemi d'interpretazione concernenti il testo musicale e poetico (spesso lacunoso), le peculiarità sintattiche e armoniche in particolare dei recitativi, e naturalmente l'entità del possibile contributo di Benedetto Marcello all'opera della moglie.

Cristina Fernandes con la sua relazione La fortuna del 'Coro dos Italianos' della Cappella Reale e della Patriarcale di Lisbona nel secondo Settecento ha analizzato lo status socio-professionale e l'attività musicale dei cantati italiani della Cappella Reale e della Patriarcale (che dopo il terremoto del 1755 hanno occupato chiese separate) attraverso fonti d'archivio, relazioni di viaggiatori stranieri e spartiti musicali. Dei circa 70 cantanti a libro paga di queste istituzioni, circa 50 erano italiani, includendo vari castrati. La "diaspora" dei musicisti italiani, per usare il termine adottato da Reinhardt Strohm, si è prolungata in Portogallo fino alla fine del '700 ed è proseguita dopo il trasferimento della famiglia reale in Brasile nel 1807. I cantanti italiani venivano da città diverse come Napoli, Roma, Bologna, Genova, Firenze o Siracusa e costituivano un gruppo professionale molto prestigioso nella gerarchia delle istituzioni musicali portoghesi. Formavano il cosiddetto "Coro dos Italianos" e avevano stipendi cinque o sei volte superiori a quelli dei loro colleghi del "Coro dos Portugueses", oltre ad altre regalie.

Alla Fernandes è seguita la relazione di Roberto Pagano Il "Gravicembalo", destinatario privilegiato delle Sonate di Domenico Scarlatti: lo studioso ha dichiarato le sue perplessità di fronte a una tendenza che si è fatta strada negli ultimi anni e cioè il "tentativo di strappare a Domenico Scarlatti lo scettro di principe dei clavicembalisti di ogni tempo". Fatta salva la liceità di "trapianti" delle sonate su altri strumenti a tastiera, secondo una prassi mantenutasi inalterata sino agli inizi del XIX secolo, la categoricità di certe proposte va contrastata tenendo presenti alcuni riferimenti ineludibili. Ad esempio è improprio, secondo Pagano, il riferimento alle Sonate per "cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti" di Ludovico Giustini. Piuttosto infelici, se non circoscritti alle Fughe, i tentativi di trapianto sull'organo, quando non riguardano brani per i quali l'impiego dello strumento è espressamente indicato. Irragionevoli le prevenzioni contro l'esecuzione delle Sonate sul moderno Steinway.

Giusy De Berardinis con l'intervento Nuove acquisizioni sulla vita e le opere di Ferdinando Turrini, ha fatto luce sul compositore nato a Salò nel 1745 e morto a Brescia nel 1829. La sua formazione musicale si compì a Venezia sotto la guida dello zio, il celebre Ferdinando Bertoni, al quale fu affidato in giovane età e del quale prese il cognome: fu infatti chiamato anche Bertoni o Bertoncino. Nel 1766 ottenne il posto di organista presso la Basilica di S. Giustina a Padova dove restò almeno fino al 1797 quando rientrò a Brescia, dove svolse anche attività didattica. Lo studio della vita e delle opere di Turrini ha messo in luce alcuni importanti aspetti non indagati in precedenza: merita particolare rilievo la speciale ammirazione per le opere di Clementi, tanto da dedicargli una serie di sonate, inizialmente pensate per il cembalo, ma in seguito espressamente rielaborate per il pianoforte. Queste sonate sono preziosa e rara testimonianza, da una parte, della nascita della forma-sonata in Italia, dall'altra, dell'evoluzione della tecnica strumentale, con riguardo anche a importanti risvolti organologici.

Elisabetta Piras si è soffermata sulla figura di Giacinto Scelsi con la relazione Testi letterari e musica nel primo periodo compositivo di Giacinto Scelsi. L'obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare alcuni aspetti del rapporto tra musica e testo letterario nella prima produzione musicale di Scelsi, in cui risalgono fra l'altro Tre canti di primavera (1933) su testi di Sibilla Aleramo, L'amour et la crane (1933) su testi di Baudelaire, Tre canti (1933) su testi di D'Annunzio, etc. I risultati della ricerca vertono sulle motivazioni della scelta dei testi, all'analisi del rapporto tra parole e musica, al rapporto tra la scelta e le tecniche compositive di Scelsi e a quelle di altri autori a lui contemporanei.

Nel frattempo si svolgeva nella Sala B, presieduta da Giorgio Sanguinetti la VIII sessione. Il primo intervento è stato di Silvio J. dos Santos (Constructing Identity: The Case of Alwa in Alban Berg's Opera 'Lulu'). L'apparente conflitto fra moderno e passato è particolarmente evidente nella trasformazione del personaggio di Alwa nell'opera Lulu di Berg. Il compositore paragona Alwa con il personaggio di Tristano dal Tristano e Isotta di Wagner: Alwa sembra provare diverse esperienze di amore, evolvendo dall'amore sensuale e spirituale fino alla loro fusione. Significativamente, nell'autografo manoscritto, Berg include una citazione letterale dell'apertura del Tristano. Valeria Lucrezia Andriani con Ernst Krenek: 'Jonny spielt auf' e la musica europea del XX secolo ha indagato il rapporto e la ricezione di Krenek e di Jonny spielt auf in Italia, confluito nella pubblicazione della prima monografia in lingua italiana su Ernst Krenek e in assoluto sull'opera in questione. Krenek nacque a Vienna, ma la sua vita sin dal principio si concentrò completamente nei luoghi di lingua tedesca. Vienna e Berlino furono le città più importanti della sua vita fino a che nel 1937 per motivi politici dovette esiliare negli Stati Uniti. Oltrepassò i confini con la sua musica, la sua opera Jonny spielt auf ebbe successo in tutto il mondo dalla sua prima esecuzione nel 1927 a Lipsia: influssi del jazz contrastavano con il linguaggio musicale tardo-romantico e formavano pertanto un contrasto che incontrò lo stato d'animo degli Anni Venti in Europa. Solo dopo il secondo conflitto mondiale tornò spesso in visita in Europa e Jonny spielt auf venne rappresentata nuovamente in Germania nel 1989.

Ultimo intervento della sessione è stato quello di Marco Targa, Cromatismo ed esatonalità: stilemi armonici e aspetti drammaturgici nell'opera di Giacomo Puccini. Il linguaggio armonico di Puccini riflette in maniera interessante i vari sviluppi che caratterizzano le sperimentazioni dei maggiori compositori del periodo. La relazione ha avuto l'intento di illustrare alcuni dati emersi dalla comparazione di procedimenti armonici utilizzati da Puccini (in particolare con Manon Lescaut e Madama Butterfly) con riferimento all'uso di scale ed accordi di tipo esatonale, al fine di dimostrare come tali strutture armoniche possano presentarsi sia come applicazione di moduli scalari di matrice debussiana, sia come esasperazione del cromatismo di tipo wagneriano. La presenza di impianti armonici di differente derivazione è considerata in relazione al significato che di volta in volta l'utilizzo di una certa struttura accordale può assumere all'interno del contesto drammaturgico. Da questa indagine risulta una particolare cura da parte di Puccini nell'utilizzo dell'elemento armonico finalizzato all'assunzione di determinati significati drammatici, con la conseguente creazione di una sorta di "simbolismo armonico".

A conclusione delle due sessioni si è svolta presso la Sala Bellisario la Tavola rotonda "La ricerca musicologica in Abruzzo: progetti e attività" a cura di Marco Della Sciucca e Anna Maria Ioannoni Fiore (moderatore Paologiovanni Maione). Sono interventi Marco Della Sciucca (Associazione Musicale "Cesare Tudino" di Atri), Gianfranco Miscia (Centro di Documentazione e Ricerche Musicali "Francesco Masciangelo" di Lanciano), Francesco Zimei (Istituto Abruzzese di Storia Musicale).

Nell'ambito del convegno annuale della SIdM, il Conservatorio di Pescara ha allestito la mostra "Rigore e pragmatismo. Ricerca, didattica, pratica musicale nell'Ungheria del dopoguerra dai fondi dell'Accademia d'Ungheria in Roma". Realizzata in collaborazione con l'Accademia d'Ungheria in Roma, la mostra promossa e curata da Cecilia Campa e Johann Herczog, ha presentato l'attività di ricerca e produzione editoriale svolte dalla musicologia ungherese durante il regime comunista dai fondi conservati nella biblioteca dell'Accademia d'Ungheria in Roma.

Sara Ciccarelli